Il mestiere di giornalista: dal Watergate a Indro Montanelli

CINEMA, Il praticante, LETTERATURA, MULTI MEDIA, SCHIROPENSIERO

Visto che nelle ultime 2 settimane mi è toccato sentir dire che è normale, pubblicare il materiale di un ufficio stampa come se fosse produzione della redazione (in tempi di crisi…) e che i giornali si fanno con le agenzie di stampa, per fermare l’urto della nausea ho assunto un farmaco importante: mi sono andato a rivedere il film “Tutti gli uomini del Presidente” di Alan J. Pakula (1928-1988, autore anche di ‘La scelta di Sophie’, ‘Presunto innocente’ e ‘Il rapporto Pelikan’).

Carl Bernstein e Bob Woodward in redazione al Washington Post nel 1974Come molti sicuramente sanno, il film racconta la genesi, l’evoluzione e la conclusione dell’inchiesta giornalistica di Bob Woodward e Carl Bernstein (allora cronisti poco meno che trentenni) che portò il Washington Post a far esplodere lo scandalo Watergate, con la
conseguenza delle dimissioni del Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon (esattamente 2 anni dopo aver vinto le elezioni con 35 milioni di
voti a 1.5 del candidato Democratico Mc Govern), e i 2 giornalisti a scrivere un libro che varrà il premio Pulitzer.

Non sarò io a scoprire il valore di quella inchiesta.
Secondo Gene Roberts, grande Editor del Philadelphia Enquirer e del New York Times, si è trattato di The single greatest reporting effort of all time, il più grosso lavoro giornalistico di ogni tempo. A me, interessa mettere in luce altro.

Quando iniziò a lavorare all’inchiesta, Woodward (interpretato nel film daBob Woodward oggi Robert Redford) era stato assunto al Post da meno di un anno. Bernstein (che nella finzione ha il volto di Dustin Hoffman) era invece sull’orlo del licenziamento. Non si trattava quindi di giornalisti famosi o che potevano aprire qualsiasi porta.
Il leggendario direttore del Post Ben Bradlee (classe 1921, tutt’ora nell’Editorial Board del quotidiano) era molto restio a dare credito ai primi risultati ottenuti dai 2. Temeva (a ragione) di essere preso di mira come Democratico che tentava di danneggiare la conferma alla Presidenza di un Repubblicano.

Tutto ha inizio nel 1972, quando la polizia scopre un improbabile furto con scasso in un ufficio di Washington. Improbabile perchè i ladri sono cittadini di mezza età, piuttosto rispettabili. Al punto che uno di loro figura a libro paga del Presidente degli Stati Uniti.
Quando l’inchiesta dei giornalisti scopre che c’è un fondo segreto per supportare la conferma di Nixon e che c’è stata attività di spionaggio sui potenziali rivali del Presidente, l’opione pubblica non li considera più di tanto. In più, la Casa Bianca infanga loro e il loro direttore.
Ma Woodward si fida di quello che chiama Deep Throat, gola profonda. Il suo informatore, che si scoprirà solo nel 2005 essere Mark Felt dell’FBI.
Nel novembre dello stesso anno Richard Nixon viene rieletto.

Carl Bernstein oggiNel 1973 le cose per Nixon precipitano. Il Giudice del processo ai 5 responsabili del furto con scasso del 1972 prova la connessione con la Casa Bianca e nello staff del Presidente saltano le prime teste.
Nel 1974 la Commissione d’Inchiesta chiede a Nixon di rendere pubblico il contenuto dei colloqui tra lui e il suo staff. Sotto pressione, Nixon acconsente e firma la sua condanna. Le trascrizioni mettono in chiara evidenza che Nixon conosceva ogni dettaglio del fondo nero e dell’attività di spionaggio.
L’8 agosto 1974 Nixon si dimette. Dichiara: I deeply regret any injuries that may have done. Mi dispiaccio profondamente per i danni che ho potuto provocare.

Del film trovo memorabili le scene ambientate in redazione, con il ticchettio delle macchine da scrivere che mi ricordano il mio esame da giornalista (già da anni usavo il computer, ricordo il fastidio di quella immersione nel passato). Nei primi anni ’70 il giornalista lo si faceva scarpinando, viaggiando, verificando. Non c’erano internet, google e wikipedia. Woodward e Bernestein, prima di pubblicare, si sentono chiedere: “Hai buoni appunti?”. Nel senso: non è che hai scritto in fretta e ti sei convinto di quello di cui volevi convincerti? Ed è questa, la prima lezione per un giornalista: quello che hai scoperto, hai verificato se è vero? L’informatore, è credibile? O hai presa per buona la prima cosa che ti hanno detto? O, peggio, stai cercando di usare quello che hai raccolto per dimostrare la tua tesi, fregandotene della verità?
Trovo memorabile anche il finale. Bradlee che dice: “Qui c’è in gioco la libertà di stampa” e la scena successiva che mostra le telescriventi che battono le notizie più drammatiche, fino a quella delle dimissioni di Nixon.
Sicuramente, i colloqui tra Woodward e Deep Throat sono stati oggetto di omaggio nelle apparizioni dello Smoking Man di X Files, telefilm di culto degli anni’90.

Non tutti i giornalisti sono destinati a vincere il premio Pulitzer. Ma tutti i giornalisti possono lavorare con la stessa etica di Woodward e Bernstein. Anzi, dovrebbero.
Mi scrisse Indro Montanelli pochi mesi prima di morire: “Il nostro mestiere non conosce nè anagrafe nè gerarchie. Conosce solo una linea di demarcazione: fra chi lo fa come fine a sè stesso e chi lo fa per trarne vantaggi”.
Lo tengo ben presente ogni giorno della mia vita.