Ancora sulla scrittura creativa

La formazione continua dei giornalisti, LETTERATURA, SCHIROPENSIERO

Ho dedicato un articolo ai corsi di scrittura creativa che ho frequentato nell’ambito della formazione continua dei giornalisti. Qui provo a fissare nel concreto quelle che sono le mie linee guida, quasi tutte apprese leggendo i miei maestri

Quando nelle sale è arrivato il film America Oggi di Robert Altman io non avevo ancora sentito parlare di Raymond Carver. E’ curioso, perchè da almeno un decennio prendevo a mio modello David Leavitt, Brett Easton Ellis e Jay Mc Inerney, gli scrittori che la critica riconosce universalmente come gli eredi di Carver. Leggere Ballo di famiglia di Leavitt e Meno di Zero di Ellis era per me stata una rivelazione. Avevo poco più di 20 anni e a quell’età si tende a credere che tutto ciò che non è contemporaneo non valga troppo la pena di essere considerato.
Comunque, America Oggi (in Inglese Short Cuts, che letteralmente andrebbe tradotto con scorciatoie; non so se Altman avesse in mente questo significato, quando ha pensato al titolo) è un film del 1993 e rappresenta un ardito (e perfettamente riuscito) tentativo degli sceneggiatori (Altman stesso e Frank Barhydt Junior) di portare le storie (9 racconti e una poesia) di Carver a un livello superiore, facendone le parti di un tutto.
Ho trovato il film bellissimo. L’ho visto e rivisto e poi sono passato a leggere Carver.

Raymond Carver
Raymond Carver

Nel 1993 Carver era morto da ormai 5 anni, ad appena 50 di età. La sua vita è stata breve e intensa. Alcolista in giovane età, parlava sempre di una sua seconda vita, che riteneva fosse iniziata dopo che era uscito dalla dipendenza. Ma questa seconda vita (quella degli studi universitari e del successo come scrittore) è durata poco.
Quando è morto, Carver era già ritenuto un maestro di scrittura. Non a caso, era ricercatissimo come insegnate dei corsi di scrittura creativa.
In Italia Carver è stato pubblicato da Einaudi. In catalogo si trovano le celebrate raccolte Vuoi star zitta, per favore, Cattedrale e Da dove sto chiamando (che raccoglie quel che lui stesso riteneva il meglio del suo lavoro). Minimum Fax ha anche pubblicato tutte le sue poesie in un libro che porta il titolo di Orientarsi con le stelle (una frase che Carver ripeteva ai suoi studenti: “Con un po’ di fortuna, imparerete anche voi a tenere la rotta, orientandovi con le stelle”).
Sempre Einaudi ha pubblicato Il mestiere di scrivere (a cura di Stull e Duranti), una raccolta di saggi e lezioni sulla scrittura creativa. Il libro include anche un ricordo di Carver scritto di proprio pugno da Jay Mc Inerney, che è stato suo studente all’Università di Syracuse (Stato di New York) e dice esplicitamente: “Ha cambiato la mia vita”.

Carver si poneva il dubbio se si potesse davvero insegnare a scrivere, ma lui è la dimostrazione che magari è difficile insegnarlo, ma a scrivere si può certamente imparare. Per quanto ci metta in guardia: “E’ un lavoro duro e solitario (…) Nessun insegnante, nessuna mole di studi può trasformare in scrittore qualcuno che è costituzionalmente inadatto a fare lo scrittore”.
A Yakima (a est dello Stato di Washington), il Carver poco meno che ventenne (ma già sposato) lavorava facendo consegne a domicilio per una farmacia. Un signore “Molto anziano ma lucidissimo, che indossava un Cardigan” lo invita a entrare in una casa che ha libri ovunque. Questo episodio, che si trova ne Il mestiere di scrivere, è una grandissima lezione di scrittura. Intanto troviamo nel virgolettato precedente l’esplicitazione di una delle chiavi della buona scrittura: la presenza nel testo di dettagli che illuminano il racconto al lettore. L’uomo che gli apre la porta è “molto anziano” ma è anche “lucidissimo” e “indossava un cardigan”. Poi Carver ci descrive così la casa: “I libri erano proprio dappertutto: sui tavolinetti e sui ripiani, sul pavimento accanto al divano. Ogni superficie a disposizione era adibita a punto di sostegno per libri”.
Penso sia chiaro che differenza c’è con la descrizione che avevo fatto io di “una casa piena di libri”. Carver direbbe che quello è un linguaggio: “Adatto a esprimere una sorta di informazione veloce, che sarebbe meglio lasciare ai quotidiani” in vita sua, non ha mai conosciuto internet “e ai mezzibusti dei quotidiani serali”. Secondo lui la differenza tra un giornalista e un vero scrittore e che: “Con un buon racconto si dà una notizia che resta per sempre”, in questo riprendendo l’antico concetto di Aristotele: “L’eccellente diventa il permanente”.
Ma ci aiuta anche Joseph Conrad: “Il compito dello scrittore è far udire”.

Per Carver la cattiva scrittura è: “Quella in cui un autore usa male il linguaggio, in cui non presta sufficiente attenzione a quanto sta cercando di dire e a come sta cercando di dirlo”.
Parafrasando Tolstoj (“Il talento è il dono di vedere quello che gli altri non hanno visto”), insegna che un vero scrittore è anche colui che “Vede quello che tutti gli altri hanno visto, ma vedendolo in modo più chiaro, da ogni lato”.
Non a caso Raymond Carver adora le revisioni. Secondo lui, riscrivendo “Si arriva direttamente al cuore del racconto”.
E’ un concetto fondamentale, per chi vuole affrontare la scrittura creativa seriamente: il risultato buono si ottiene con il duro lavoro. L’ispirazione certamente conta, ma la dedizione e il mestiere fanno la differenza.

Ernest Hemingway al lavoro
Ernest Hemingway al lavoro

Ernest Hemingway, il principale punto di riferimento di Carver, con espressione colorita metteva in guardia lo scrittore che si accinge a rivedere un testo: “Va attivato lo shit detector“.
Secondo il Maestro: “La capacità dello scrittore di percepire come un radar ciò che va eliminato”.
E’ la famosa teoria dell’omissione che lo stesso Hemingway insegnava e che Fernanda Pivano ha reso familiare e, a volte, anche criticato: “Tutto ciò che si sa, lo si può eliminare”.
L’immagine poetica che veniva in mente a Hemingway è quella dell’iceberg: “I suoi sette ottavi sono sott’acqua e questo non fa che rinforzare l’iceberg”.
Abbandonando la metafora, Hemingway aggiunge: “Se un prosatore conosce abbastanza quello di cui sta scrivendo può omettere le cose che conosce e il lettore, se lo scrittore scrive con abbastanza verità, avrà la sensazione di quelle cose con la stessa forza con cui l’avrebbe se lo scrittore le avesse formulate”.

Hemingway non parla di verità in senso stretto. Anzi, lui stesso si definiva (come scrittore) un bugiardo patologico.
Per definire meglio il concetto, chiediamo aiuto ancora a Tolstoj, che ci spiega che la verità in letteratura è pari a: “Quanto forte e coerente è la sincerità dell’autore nei confronti dei contenuti del racconto”.
Non a caso Hemingway scrisse a suo padre: “In tutti i miei racconti cerco di cogliere la sensazione della vita vera (…) quando vedi qualcosa di mio che non ti piace, ricordati che sono sincero nel farlo e che lavoro con uno scopo preciso”.

Tornando a Carver, introduciamo un’altra sua convinzione: “La scrittura estremamente elaborata e chic o quella chiaramente stupida mi fanno venire sonno (…) Si possono descrivere delle cose, degli oggetti comuni usando un linguaggio comune ma preciso e dotare questi oggetti (una sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino) di un potere immenso, addirittura sbalorditivo”.
La semplicità come virtù, quindi. La stessa che predica Hemyngway, a inizio carriera un giornalista. In gioventù aveva lavorato al Kansas City Star, che distribuiva un vademecum (110 regole, per essere precisi) in cui al punto numero 1 si leggeva: “Usa frasi brevi, sii positivo, non negativo” e come indirizzo generale raccomandava: “La lingua inglese giunge alla semplicità attraverso la brevità”.
Faccio a questo punto un inciso: in Italiano, non è sempre così. Rispetto all’Inglese, sono molti meno i verbi che permettono di compiere o subire l’azione lasciando inalterata la frase o che hanno caratteristiche onomatopeiche. Frasi come “he grounded out to third base” (stiamo parlando di articoli di baseball) non sono letteralmente traducibili in Italiano. E’ anche per questo che leggere Carver in Italiano non permette di coglierne fino in fondo la maestria.
Il concetto di base è però universale e uno dei consigli di Carver vale in qualsiasi lingua: “Va usato un linguaggio chiaro e preciso” che però deve essere “carico di significato per il lettore”.
L’uso della punteggiatura ha un’importanza fondamentale, se si cerca di ottenere un linguaggio “chiaro e preciso”.
In Guy de Maupassant (un racconto con cui l’autore ottiene un “linguaggio chiaro e preciso” in modo impareggiabile), lo scrittore russo Isaac Babel sostiene: “Non c’è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al posto giusto”.

Raymond Carver era un insegnante di scrittura creativa, ma non credeva tanto alla figura di insegnante tradizionale. Una parte di Il mestiere di scrivere è la trascrizione di una lezione di Carver e il suo metodo, davvero alternativo, emerge chiaramente. Carver non insegna, commenta. Non censura, incoraggia. Non credeva nemmeno in modo particolare agli influssi, al punto da sostenere di non essersi particolarmente ispirato a Hemyngway, pur seguendone certamente gli stessi principi. Diceva che a forgiare uno scrittore sono più che altro: “Forze, occasioni, personalità irresistibili come maree”.
Carver è stato questo per molti autori, ma lui stesso ha avuto il suo influsso: quello che veniva da John Gardner, il suo insegnante di scrittura creativa. Come Carver, anche Gardner morì giovane: a 49 anni in un incidente stradale. Per Carver fu decisivo (occasione) il fatto che Gardner gli abbia lasciato usare il suo ufficio. Il giovane Carver per creare aveva necessità di stare lontano dalla casa dove abitava, che con 2 figli piccoli era particolarmente rumorosa.

Per molti dunque Carver è stato un mentore. Il concetto gli è decisamente caro: “Anche gli scrittori devono seguire i consigli e fare pratica (…) l’imitazione è il primo passo da compiere, per chi cerca una propria voce“.
Per avviarmi a chiudere, prendo a prestito una splendida definizione di mentore da T.S. Eliot: “Qualcuno che sta cercando di far capire a una persona molto sorda che la stanza dove si trova è in fiamme”.

La mia sintesi finale è che scrivere un testo che funziona è un risultato magico ed è frutto di tanti fattori combinati. Ma il fatto che in alcuni dei più grandi autori della storia ricorrano concetti simili, espressi in circostanze così diverse (Tolstoj era considerato un semidio, Hemingway ha rivoluzionato la letteratura e Carver è ritenuto un maestro, ma Babel era un perseguitato che morirà fucilato per spionaggio durante le purghe di Stalin), rappresenta secondo me un indizio da considerare prima di ogni seria riflessione.

Un post scriptum: Einaudi ha da poco pubblicato Principianti. Si tratta di alcuni dei più celebri racconti di Carver in versione originale, prima dell’intervento dell’editor Gordon Lish. Sul tema, il collega Mario Salvini mi ha segnalato un interessante articolo di Alessandro Baricco, apparso su Repubblica nel 1999.