Giovane e bella

CINEMA, MUSICA, SCHIROPENSIERO

Con il fatto che i film passano più volte sui vari canali di SKY, mi sono imbattuto in diverse occasioni nell’inizio di Giovane e bella, un film belga francofono (titolo originale Jeune et jolie, regia di François Ozon). Mi incuriosiva questa bellissima ragazza che, con la complicità del fratello minore, usciva con un Tedesco. E’ andata a finire che una sera ho schiacciato il tasto blu del restart e l’ho visto dall’inizio.
Ci sono questi 2 ragazzi in vacanza penso sulla Costa Azzurra che vanno in spiaggia e fanno l’amore. Almeno lui. Lei diciamo che subisce. Nella miglior iconografia del maschio che si vuole fingere esperto e invece non sa neanche come è fatta una donna, il Tedesco (che è piuttosto bello) chiede “Das erste Mal?” (la prima volta; nella versione originale il Tedesco parla Tedesco). Durante il rapporto sessuale, la ragazza vede se stessa che la osserva. Non rivedrà più il Tedesco, ma in compenso a Parigi deciderà di prostituirsi a 350 euro a prestazione. Non le serve farlo, non ha bisogno di farlo e non le piace nemmeno farlo. Ma neanche le dispiace. Anzi, prova indubbiamente gusto all’idea che fare sesso con lei valga per un uomo così tanti soldi.

Marine Vacht
Marine Vacht

La ragazza è Isabelle, interpretata dall’ex modella Marine Vacht, ma ai clienti si presenta come Lea.
Il film è del 2013, quando la Vacht aveva già 22 anni ed era sposata con il fotografo Paul Schmidt (dal quale ha poi ha anche avuto un figlio). Il personaggio ne ha 17, ma ci si può credere. Il volto bellissimo della Vacht e, soprattutto il suo corpo androgino, possono essere quelli di un’adolescente.
Ozon voleva fare un film sull’adolescenza. Lo si capisce dalle citazioni. Isabelle a scuola analizza questi versi di Rimbaud: “A 17 anni non si può esser seri, se ci son verdi tigli lungo la passeggiata”. Nel tempo libero ascolta Françoise Hardy, cantante francese che secondo il regista ha la “capacità di trascrivere l’essenza dell’amore adolescienziale, un amore infelice, disilluso, romantico”.

LE CANZONI DI HARDY nella COLONNA SONORA

Francoise Hardy  nel 1969
Francoise Hardy nel 1969

Le canzoni della Hardy sono assolutamente romantiche. D’altra parte è un prodotto degli anni ’60, visto che divenne famosa all’Eurofestival 1963 (non aveva 20 anni, si piazzò al quinto posto). Star forse suo malgrado, la Hardy cantò Parlami di te in coppia con Edoardo Vianello a Sanremo 1966 e incise una cover di Ragazzo della via Gluck di Celentano (La maison ou j’ai grandi).
Ai tempi dell’esordio era sostanzialmente una coetanea di Isabelle/Lea. Ed è scontato che il regista ci voglia provocare, con questo accostamento tra un’adolescente di una generazione che si apprestava a vivere la rivoluzione sessuale e un’adolescente del terzo millenio, che non ha più nulla da rivoluzionare. Anzi, ha una tale consapevolezza del suo potere sessuale da cercare di farlo fruttare economicamente.
L’unica cosa in comune tra Isabelle e Françoise Hardy (o meglio: le sue foto degli esordi. Oggi è certamente una bella signora, ha pubblicato un romanzo di successo come L’amore folle nel 2013, ma ha 71 anni…) è la bellezza. Entrambe hanno tutto quello che serve per far sognare gli uomini.

Quando muore Georges, il suo cliente più affezionato, Isabelle cerca di rianimarlo. Poi Lea ha il sopravvento e fugge. Ma ovviamente, la polizia indaga sul fatto e scopre con chi era Georges quando è morto.
Per me questa è la parte davvero significativa del film. Isabelle si sente chiedere dalla madre perchè, visto che “non ti è mai mancato niente”.
E’ una seria occasione di riflessione per una generazione che evidentemente è convinta che crescere figli sia dargli “tutto” quello che si può dare a livello di cose materiali.

Il film si chiude dopo che Isabelle ha cercato di tornare a essere Lea ma, come primo potenziale cliente, si è trovata una donna. Si tratta della moglie di Georges, interpretata da una strepitosa e ancora bellissima Charlotte Rampling. Non è una cliente, vuole solo vedere in faccia la persona che ha visto morire suo marito.

Nel Simposio di Platone Zeus, per voce del poeta Aristofane, dice: “Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi”.
Da quel momento, gli esseri umani hanno cercato l’unità perduta. Ci dice ancora Platone con la voce di Aristofane: “Dunque al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà nome amore”.
E’ una visione dell’amore che non si nasconde la possibilità dell’omosessualità (dice Platone: “E i sessi erano 3, in quanto il maschio ebbe origine dal sole, la femmina dalla terra, e il terzo sesso, che aveva elementi in comune con gli altri due, dalla luna, che partecipa appunto della natura del sole e della terra…”) e che, soprattutto, non dà un fine concreto (quale potrebbe essere la procreazione) alla relazione erotica tra gli esseri umani.