La versione di Schiro

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Ho recentemente riletto quello straordinario romanzo che è “La versione di Barney” di Mordecai Richler. Lo avevo letto anni fa in Italiano, ma dopo aver visto il film (che è splendido e fedelissimo al libro) ho deciso che lo dovevo leggere com’era stato concepito.
Non mi sbagliavo: le invenzioni linguistiche di Richler, il suo orgoglio di canadese anglofono cresciuto nel Quebec di lingua francese, sono qualcosa di molto alto, letterariamente parlando.

Paul Giamatti e Dustin Hoffman nel film "La versione di Barney"La cosa bella di leggere oggi “La versione di Barney” è che mi immagino Barney con la faccia di Paul Giamatti e suo padre Izzy con quella di Dustin Hoffman. Il che, è molto divertente. Ma da dove comincio, per decantare le lodi di “La versione di Barney”?
In superficie, si potrebbe pensare che il libro è un’elegia del politically scorrect (anche scrivere politically scorrect non è politicamente corretto, il che vi dovrebbe dare un indizio: io odio il politically correct a tutti i costi). Barney non è una bella persona: fuma sigari puzzolenti, beve whisky la mattina, alle partite di hockey insulta un po’ tutti. Non è neanche una brava persona in senso stretto: si innamora di un’altra il giorno del suo stesso matrimonio. Che è il secondo, perchè la prima moglie si è suicidata. E ci viene persino il pensiero che Barney non sia più una brava persona da quando la prima moglie (che da morta è diventata un’autrice di culto) si è spenta. Leggendo il libro, impareremo anche che la seconda signora Panofsky (come la chiama Barney) è diventata obesa, dopo che si sono lasciati.

Barney non è una persona gradevole, fa battute imbarazzanti, ma è una persona che ama. Ama la terza signora Panofsky, ma trova la maniera di farsi lasciare anche da lei. Tra le righe dell’umorismo cinico, si fa strada ne “La versione di Barney” una splendida (ancorchè irrituale) storia d’amore. Quell’amore che deve (dovrebbe?) durare tutta la vita e per il quale il Barney, solo e anziano, piange.
Il finale è strepitoso e struggente, per come Richler racconta l’inarrestabile declino senile di Barney. E non ve lo racconto.

Tra le righe (o meglio, nelle note) della “Versione di Barney”, si fa strada anche un altro concetto. La finzione letteraria ci fa credere che il libro sia stato pubblicato dopo la morte di Barney e a fronte di una revisione del figlio, che puntigliosamente rivede diversi ricordi del padre e li corregge.
La memoria, sembra volerci dire Richler, spesso ci tradisce. O, forse, ci vuole insinuare il dubbio che la nostra epoca la memoria l’ha persa.

Deve essere successo lo stesso al baseball italiano.
E’ da un po’ di tempo che cerco (invano) di correggere alcuni ricordi, palesemente obnubilati dal tempo, con i dati di fatto. Ma tutto quello che ottengo è che mi danno del “presuntuoso”.
C’è parecchia gente, ad esempio, che rimpiange i bei tempi andati della Grande Germal (Parma), che vinceva 51 partite su 54 schierando tutti italiani. Peccato che non sia vero. O meglio, ha vinto un campionato (1976) vincendo 51 partite, ma assolutamente non aveva tutti italiani. Su 9 titolari (allora il designato non era concesso), gli italiani erano Castelli, Manzini (una volta su 3, visto che lanciava), Cattani (finchè non arrivò un certo Peter Tranquillo), Dallospedale padre (finchè non potè giocare Gary Pitchford; e Paco non era nemmeno di Parma; per dirla tutta, non aveva nemmeno imparato a giocare a baseball in Italia) e l’allora giovanissimo Corradi, che si alternava con l’altrettanto giovane Gastaldo.
Più o meno la stessa gente si ricorda che lo stadio era sempre pieno. Ma anche questo non è vero. Ci sono state stagioni con molto pubblico (forse quella in assoluto con più pubblico fu il 1981 e, sia chiaro, a quella stagione anche per me sono legati ricordi splendidi e forse esagerati dai miei 18 anni), ma non c’era sempre pieno. E nel 1983, era già finito tutto. Nel senso che si iniziava a sentire il solito ritornello: “Cosa fare per recuperare il pubblico?”. E la soluzione più ovvia, proporre un bello spettacolo, non era nemmeno allora presa in considerazione.
Il livello in quegli anni era altissimo. Mah?! Come dice un mio amico (allenatore, ex barista, attuale venditore di ascensori) “Venivano buoni falegnami, macellai e poliziotti. Adesso che in campo vanno giocatori di baseball, il livello si sarà alzato”. Parole sante. Ma se le parole non vi bastano, la Grande Germal commise più di 100 errori. Tipo il Novara di oggi.
La Comunicazione e le Pubbliche Relazioni erano un’altra cosa all’epoca di Beneck. Infatti: lo scudetto 1977 lo assegnò la CAF (ricordate il contenzioso su come si sarebbe dovuto giocare lo spareggio?).
La regola degli Under 18 ha fatto esplodere Ceccaroli, Fochi, Bianchi e Gambuti. La regola fu in vigore nel 1975 e 1976, quando Ceccaroli e compagni si preparavano alla Cresima, come il sottoscritto. Diciamo che indirettamente la regola li aiutò, perchè stroncò la carriera a tutti i lanciatori Under 18 che ebbero la sfortuna di arrivare in serie A grazie a questa regola.
Per venire a tempi più recenti (e a temi più scottanti): la Federazione permette a Bagialemani di allenare, anche se è stato radiato. Non è mai stato radiato, bensì squalificato per 3 anni. L’ultima parte della squalifica gli venne in effetti condonata, ma sarebbe comunque stata scontata fin dal 2003.

Come Barney, il baseball italiano non ha una buona memoria. Infatti, non si ricorda nemmeno che tentare di aumentare a tutti i costi il numero delle squadre ha già rischiato di cancellarlo una volta.

1 thought on “La versione di Schiro

  1. Tutto vero però per me “il baseball” a Parma molto difficilmente potrà essere migliore di quel 1976, forse perchè avevo(avevamo) 13 anni e tutto era più nuovo, più bello, più magico. E con questo non c’è miglioramento tecnico e/o organizzativo che possa competere. Rimane semplicemente un momento irripetibile.
    E’ verissimo, quella è stata una stagione irripetibile e io sono felice di averla vissuta. Ma la considero, appunto, irripetibile.

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