Ancora sulla Tanzania

Kenya, Tanzania e Zanzibar 2013-2014, VIAGGI

Prima di entrare a tutti gli effetti nel regno degli animali, dedico ancora qualche considerazione alla Tanzania

Come il Kenya, anche la Tanzania è abitata da milioni di anni. I greci chiamavano la parte orientale della costa africana Azania. C’è chi pensa che il nome sia nato nel primo secolo, chi viceversa pensa derivi dall’arabo Zinj.
Le prime tracce confermabili di presenza europea risalgono però allo sbarco di Vasco De Gama del 1498.
L’influenza portoghese si può dire sia durata fino al 1700, poi sono stati gli arabi a diventare la cultura prevalente. Abbiamo già accennato che la mescolanza tra arabi e popolazioni Bantu ha dato origine a quella che conosciamo oggi come cultura Swahili, ma non va dimenticato che il contatto con arabi ed europei finì con l’avere un’influenza tutt’altro che positiva sulle popolazioni indigene, che furono letteralmente stremate da malattie per cui il loro corpo non era attrezzato.

Il periodo coloniale per quella che oggi è la Tanzania continentale iniziò con l’arrivo dell’avventuriero tedesco Carl Peters, che firmò (pur senza l’autorizzazione del suo Governo) diversi accordi di protettorato. Il Cancelliere Bismarck per altro li ratificò.
Tra il 1886 e il 1890, come conseguenza della Conferenza di Berlino del 1884, la Germania e l’Inghilterra si divisero l’Africa Orientale. I tedeschi estesero la loro influenza sul paese allora chiamato Tanganica, dal nome del grande lago che si trova nella zona occidentale e che venne così battezzato proprio dai tedeschi, influenzati dal fatto che gli indigeni chiamavano Tanga e Nica 2 grossi pesci che abbondavano in quelle acque.
Come è noto, la Germania perse i suoi possedimenti africani all’indomani della rovinosa sconfitta nella Prima Guerra Mondiale e la Società delle Nazioni affidò il Tanganica all’Inghilterra, che già era presente a Zanzibar. La storia ci dice che la politica coloniale inglese fu quanto meno miope. La Tanzania doveva servire come mercato per i prodotti provenienti  dalla madre patria e dalle altre Colonie (prima di tutte l’India) e la presenza Inglese impedì di fatto la nascita di una industria manifatturiera.

Julius Nyerere
Julius Nyerere

La strada verso l’indipendenza inizia con la nascita nel 1948 della Tanganica Africa Association, che divenne poi  National Union (TANU) nel 1953. Julius Nyerere, un insegnante,  ne assume la guida. Non passano molti anni e gli Inglesi, praticamente dall’oggi al domani, se ne vanno. I poteri sono trasferiti dal 1961 a un Governo guidato da Nyerere. Ma il Tanganica di fatto non esiste. Nyerere accetta un sistema parlamentare all’Inglese per dotare il neo nato paese di regole. Gli Inglesi escono anche da Zanzibar nel 1963 e, dopo aver sventato un Colpo di Stato militare in Tanganica e placato una potenziale insurrezione a Zanzibar (di cui diremo più avanti con maggiori dettagli), Nyerere dà vita alla Repubblica Unita di Tanzania. In un paese abitato da almeno 100 tribù, ciascuna con il suo idioma di derivazione Bantu, Nyerere impone l’uso dello Swahili come unica lingua nazionale. L’Inglese resta la lingua franca, ma solo per chi arriva almeno alle scuole medie.
Siamo comunque in un paese senza classe dirigente. Nel 1964 i laureati africani che vivono in Tanzania sono appena 120. Nyerere impone il concetto della ujamaa (solidarietà famigliare). Il Presidente ha in mente un paese basato sulla solidarietà e l’uguaglianza e lo teorizza nella dichiarazione di Arusha del 1967. Nessuno si deve arricchire alle spalle degli altri in un paese così povero. Ai funzionari pubblici viene vietato di possedere azioni di aziende private o di comprare immobili al fine di affittarli.
A quel punto, nessuno in Europa considera la Tanzania terzo mondo e Nyerere diventa un personaggio estremamente popolare negli ambienti dell’ONU, anche per la sua decisa presa di posizione contro l’apartheid che caratterizza le società dell’Africa meridionale.

Nyerere è certo: il Governo deve assumere il controllo dell’industria e delle banche. La svolta di stampo socialista attrae parecchi investitori stranieri  e ottiene un vasto consenso , ma Nyerere se lo gioca quando decide di collettivizzare i terreni. Va contro la cultura millenaria delle tribù e, quel che è peggio, reagisce reprimendo il dissenso.
L’apice della popolarità internazionale arriva per Nyerere nel 1978, quando la Tanzania reagisce all’invasione del dittatore ugandese Idi Amin Dada e dà un contributo decisivo alla sua deposizione.
Subito dopo però Nyerere entra in contrasto con il Fondo Monetario Internazionale, che mette sotto accusa i piani quinquennali di sviluppo e la guida centralizzata dell’economia. Alla Tanzania il mondo chiede di accettare il libero mercato.
Nyerere è fortemente contrario alla svolta liberista, ma non può negare che la sua politica economica abbia cacciato la Tanzania in un vicolo cieco. Nel 1985 (a 63 anni) lascia. Morirà nel 1999.

Gli anni di Nyerere sono stati caratterizzati dalla presenza di un unico partito politico, prima il TANU e poi il CCM (Chama Cha Mapinduzi), nato nel 1977 dalla fusione del TANU e del Partito Afro Shirazita (ASP) di Zanzibar. Sarà solo con le elezioni  del 1992 che gli elettori avranno una scelta (tra 13 formazioni politiche, per la cronaca) e comunque, il CCM resta al potere. Oggi il Presidente (da 2 mandati) è Jackay Mrisho Kikwete e il suo consenso è calato dall’80% del 2006 al 62% del 2010.
La Tanzania è un paese di 42 milioni di abitanti, poco densamente popolato e ancora molto povero. Il PIL (Prodotto Interno Lordo; valore di beni e servizi destinati al consumatore, sommato agli investimenti e alla differenza tra esportazioni e importazioni) pro capite (diviso la popolazione media) è pari ad appena 1.500 dollari americani. Per dire, quello dell’Italia è superiore ai 30.000, quello degli Stati Uniti supera i 50.000 e quello del Qatar è addirittura oltre i 100.000.
Solo il 7% dei giovani in Tanzania arriva a frequentare le scuole superiori e il problema riguardante l’energia elettrica è enorme. Nel 2011 si toccò il punto più grave della crisi, con black out arrivati fino a 15 ore. Eppure è un paese nel quale regna la pace sociale, cristiani e musulmani convivono pacificamente, e che va estremamente orgoglioso della sua stampa libera.

Lascio Arusha con il profondo rammarico di non aver cenato da Khan’s  Barbecue, un rivenditore di pezzi di ricambio per auto che alla sera cucina carne alla griglia e la profonda convinzione che l’Inglese lo debbano insegnare anche alle elementari. L’autista del 4Js, che parla solo Swahili, crede che siamo diretti all’aeroporto internazionale e non è proprio semplice convincerlo che dobbiamo andare a quello dei voli interni.
Ma saltiamo direttamente alla barca sul lago Tanganica: la guida Ramadam  (come se noi ci chiamassimo Pasqua, più o meno…) si sta impegnando a farmi sentire i vari versi degli scimpanzè. Sta iniziando quello che considero senza dubbio il clou del viaggio.