Bel paese, brutta gente

LETTERATURA, POLITICA, SCHIROPENSIERO

La feccia del pianeta, questo eravamo. Meglio: così eravamo visti. Non potevamo mandare i figli alle scuole dei bianchi in Louisiana. Ci era vietato l’accesso alle sale d’aspetto di terza classe alla stazione di Basilea. Venivamo martellati da campagne di stampa indecenti contro questa maledetta razza di assassini. Dovevamo tenere nascosti i bambini come Anna Frank perchè non ci era permesso portarceli dietro. Eravamo emarginati dai preti dei paesi d’adozione come cattolici primitivi e un po’ pagani. Ci appendevano alle forche dei pubblici linciaggi perchè facevamo i crumiri o semplicemente perchè eravamo tutti siciliani

Gian Antonio Stella
Gian Antonio Stella

E’ l’incipit di L’Orda, il libro che Gian Antonio Stella ha pubblicato nel 2002 con il significativo sotto titolo: Quando gli albanesi eravamo noi. Classe 1953, veneto, Stella dedica il suo lavoro al nonno Toni Cajo, che “mangiò pane e disprezzo in Prussia e in Ungheria e sarebbe schifato dagli smemorati che sputano oggi su quelli come lui”.
Il libro di Stella è documentatissimo e allo stesso tempo sconcertante. Tutti noi siamo cresciuti nel mito degli italiani brava gente e nemmeno ci ha scosso il titolo paradossale che un italiano di lingua tedesca (neanche di questo ci rendiamo bene conto: che una parte d’Italia non ha come madre lingua l’Italiano), Claus Glatterer, ha dato nel 1969 al suo romanzo: Bel paese, brutta gente.
Scriveva Glatterer: “Il mondo del 1918 era stato fondato sull’ingiustizia. Era una cosa che sapevamo. Ce l’avevano insegnato tutti. I nostri padri vedevano l’ingiustizia nella disfatta dell’Austria e nell’annessione del Sudtirolo all’Italia…”.
Noi invece sapevamo che avevamo liberato quelle popolazioni dal gioco austriaco grazie a eroi come Cesare Battisti (che incidentalmente, dal punto di vista degli austriaci era un traditore, essendo stato Deputato al Parlamento di Vienna). Così come sapevamo che non tutto nel Fascismo era sbagliato (lo ha detto pubblicamente un ex Presidente del Consiglio), che non è mica vero che abbiamo perseguitato gli Ebrei come Hitler. E vuoi che non ci andasse dietro che quando erano gli italiani a emigrare, era diverso?

Nel 1911 "Life" vedeva gli italiani così
Nel 1911 “Life” vedeva gli italiani così

Ammonticchiati là come giumenti/sulla gelida prua mossa dai venti/migrano a terre ignote e lontane/laceri e macilenti/varcano i mari per cercare del pane. Traditi da un mercante menzognero/vanno, oggetto di scherno, allo straniero/bestie da soma, dispregiati iloti/carne da cimitero/vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti
Lo scriveva Edmondo De Amicis (1846-1908, lo conosciamo tutti come l’autore di Cuore). Al di là dell’uso di certi aggettivi strappalacrime che da Edmondo ci si aspetta, ci dà una descrizione di quelli che potrebbero essere i nostri bisnonni che non può lasciare indifferenti. Specie coloro che vorrebbero far fuoco sulle barche di profughi, magari la penserebbero diversamente se immaginassero la madre di loro nonno che va “a campar d’angoscia in lidi ignoti” perchè convinta che sarebbe diventata ricca (agli emigranti raccontavano che in America l’oro cresceva sugli alberi…) da “un mercante menzognero”.
Perchè chi lascia casa sua e va verso l’ignoto, verso un posto dove non si parla la sua lingua e dove verrà facilmente trattato da animale, è disperato.
L’Italia dei primi anni dopo l’Unità era povera. Il sud era addirittura alla fame. Era così dal diciottesimo secolo e non è che il visitatore non se ne accorgesse. Scrisse il poeta inglese Percy B. Shelley (1792-1822): “Gli uomini possono a stento definirsi tali: sembrano una tribù di schiavi stupidi e vizzi, e non penso di aver visto un solo barlume di intelligenza nel loro volto, da quando ho attraversato le Alpi. Le donne sono forse le più spregevoli fra tutte quelle che si trovano sotto la luna; le più ignoranti, le più disgustose, le più bigotte, le più sporche”.
A conoscere la Storia, cadono molti miti. Prima di Shelley aveva considerato il Marchese de Sade (siamo nel 1772): “Gli abitanti degli Stati di Parma sono imbroglioni e devoti, come dappertutto in Italia”.

Quando questa povera gente sbarcava in altri paesi non era bene accetta.
Non lo era in Europa. Le Jour scrisse il 21 agosto del 1893: “Il Governo deve difendere i lavoratori francesi  da questa merce nociva e per altro adulterata che si chiama operaio italiano (…) L’Italiano non nutre nessuno e mangia da tutti”. Sono sicuro che se si va a cercare nel repertorio di Salvini, si trova qualcosa di simile.
In America addirittura gli italiani accettavano condizioni di vita inumane. Lo constatò lo scrittore Adolfo Rossi (Un Italiano in America, 1894): “A New York c’è quasi da vergognarsi a essere italiani. La grande maggioranza dei nostri compatrioti, formata dalla classe più miserabile delle provincie meridionali, abita nel quartiere meno pulito della città, chiamato Five Points (…) In una sola stanza abitano famiglie numerose: uomini, donne, cani, gatti e scimmie mangiano e dormono insieme nello stesso bugigattolo senz’aria e senza luce”.
A fine 1800 negli Stati Uniti era attaccata duramente anche la Chiesa Cattolica: “…la questua sfacciata di ordini monastici mendicanti e papisti sta arricchendo i Vescovi di tutto il paese…” (American Perspective Association, 1895).
Sugli italiani si diffusero convinzioni spregevoli. Per loro: “La moralità non ha niente a che fare con la religione (Albert Pecorino, 1903). Scrive Regina Armstrong su Leslie’s Illustrated nel 1901: “La Madonna fa parte della vita quotidiana dell’italiano. Le vengono rivolte preghiere ed è importunata in modo patetico e infantile per ottenere intercessioni; ma se le preghiere non vengono esaudite, allora la sua immagine è maledetta”.

Ma questo era naturalmente un secolo fa.
In tempi più recenti negli Stati Uniti c’è chi disse degli italiani: “Il guaio è che non si riesce a trovarne uno che sia onesto”. Siamo nel 1973 e sono parole di Richard Nixon, Presidente degli USA. L’estratto viene dalle intercettazioni che sfociarono nel cosiddetto scandalo Watergate. Nixon parlava con John Ehrlichman, uno dei collaboratori della Casa Bianca e disse anche: “Non sono, ecco, non sono come noi. La differenza sta nell ‘odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Dopo tutto non si possono rimproverare. Non si può. Non hanno mai avuto quello che abbiamo avuto noi”.

Ma questo naturalmente succedeva nella lontana America.
Nella vicinissima Svizzera (precisamente a Lucerna) venne pubblicato nel 1992 Versteckte Kinder (editore Rex Verlag). Il libro è scritto in Tedesco da Marina Firgerio e Simone Burgherr. Non è mai stato tradotto in Italiano, ma lo ha portato alla luce il grande giornalista Maurizio Chierici sulla terza pagina del Corriere della Sera nel 1996.

LEGGI L’ARTICOLO di MAURIZIO CHIERICI

La psicoterapeuta elvetica Marina Frigerio
La psicoterapeuta elvetica Marina Frigerio

Racconta di qualcosa come 30.000 bambini italiani che dovevano rimanere nascosti. La legge sull’immigrazione svizzera non consentiva alle famiglie di portarli in territorio elvetico.
Marina Frigerio è nata nella Svizzera Italiana da una famiglia lombarda nel 1959. Ha raccontato al Corriere che, verso la metà degli anni ’70 i bambini nascosti: “Erano così tanti che qua e là, protette in genere da qualche parrocchia o qualche comunità religiosa, esistevano persino delle scuole clandestine”.
Quando uscì il libro i bambini nascosti erano almeno ancora 1000. E la Storia si divertiva: a Brindisi sbarcavano i primi profughi albanesi.

Andateglielo a dire, a Bossi e a Fini (promotori di una legge sull’immigrazione che ci dovrebbe far vergognare), a Salvini e a Grillo (che fanno dell’odio del diverso uno strumento politico) o al vostro vicino di casa che si inventa che l’immigrato è coperto d’oro a discapito dei suoi diritti.
E’ molto facile che qualcuno (in Francia o in Belgio, in Svizzera o negli Stati Uniti o in Argentina) abbia trattato così un suo antenato.