Cosa lascia il World Baseball Classic al baseball italiano?

BASEBALL, World Baseball Classic 2017

Cosa lascia il World Baseball Classic al baseball italiano? Con questo articolo provo a rispondere, ma vi anticipo che dipenderà tutto dal baseball italiano e dalla sua volontà.
Quando l’Italia venne eliminata dal World Baseball Classic 2006, chiesi “ai più rappresentativi giocatori italiani” attraverso una delle Cartoline che pubblicavo sul sito FIBS: “amichevolmente e un po’ provocatoriamente” di “non accontentarsi di aver preso al volo una battuta di Albert Pujols, ma di mettere questa esperienza al servizio di tutto il movimento fin da subito. Oltre che, naturalmente, di lavorare per arrivare ad avere un peso tecnico diverso all’interno della rosa per il prossimo Classic”.
Il riferimento era a Claudio Liverziani (che aveva rifiutato la nazionale per l’Europeo 2005, ma era stato convocato per il primo Classic; la cosa non mi è mai andata giù…) e l’articolo completo si trova su questo sito.

I giocatori di scuola italiana al World Baseball Classic

È passata una decade, abbiamo celebrato 4 nazioni Campioni del World Baseball Classic, abbiamo visto l’Italia accedere al secondo turno (2013) e andarci vicino al tentativo successivo (2017). Ma alla fine siamo ancora qui a dividerci tra chi sostiene la nazionale così com’è costruita (ed essendo la coerenza “una virtù piccolo borghese”, c’è chi cambia allegramente opinione pur essendo i presupposti esattamente gli stessi) e chi arriva a dare ragione a un personaggio inqualificabile come il Presidente del Venezuela Maduro, pur di prendersela con i cosiddetti oriundi. Che, lo ripeto a costo di apparire pedante, sono stranieri di origine italiana. Mentre i cittadini italiani (in qualsiasi modo abbiano ottenuto la cittadinanza: discendenza, naturalizzazione; nessuno al momento ottiene la cittadinanza per il fatto di nascere in Italia) sono cittadini italiani e basta. E aggiungo: il principio della doppia cittadinanza (ipotizzando Italia e Stati Uniti) significa che per l’Italia la persona è cittadina italiana e per gli Stati Uniti è cittadina statunitense. Nel senso che se io sono in possesso del doppio passaporto (non sono, è solo un esempio…) e faccio dei casini in Italia, non posso chiedere asilo al Consolato degli Stati Uniti, ma devo rispondere da cittadino italiano alla legge della Repubblica Italiana.
Ho visto che durante l’ultimo World Baseball Classic sono diventate di moda 2 attività (le trovo entrambe a dir poco superflue). La prima è spulciare i tabellini per scoprire la presenza di giocatori prodotti dal vivaio italiano. La seconda è andare alla caccia di momenti privati (tipo “ha pianto per la maglia”) per legittimare la presenza in nazionale di chi in Italia non si è formato. Diciamolo: è stucchevole. Perché è comunque legittimato a giocare per l’Italia chi rispetta le regole del torneo (il World Baseball Classic, come il Sei Nazioni di rugby, prevede in alcuni casi l’eleggibilità anche per chi non è formalmente cittadino di un paese) e non ci sarebbe bisogno di aggiungere altro. E perché non è per niente serio indagare sulle motivazioni altrui e trovo addirittura quasi indecente esporre le emozioni degli altri per ottenere benevolenza e consenso.
I fatti dicono questo: il contributo dei giocatori di scuola italiana all’ultimo World Baseball Classic è stato il più basso di sempre. Mi perdoneranno Liddi e Maestri, che sono giocatori prodotti dai nostri vivai ma non possono essere considerati (almeno secondo me) in quanto non giocano nei campionati italiani dal 2005 (se si eccettua un’estemporanea apparizione di Maestri con la maglia del Rimini a inizio stagione 2012: 2 presenze, 1.2 riprese lanciate). A parte loro, i prodotti delle nostre giovanili sono entrati solo per fare passerella, con l’eccezione dei 5 out ottenuti da Filippo Crepaldi.
Nel 2006 l’Italia utilizzò Riccardo De Santis come rilievo di Grilli nella partita vinta con l’Australia. Nel 2009 Chiarini (esterno destro) e Peppe Mazzanti (prima base) erano titolari. Nel 2013 Chiarini era titolare e Vaglio entrò in campo nella ripresa finale della prima partita contro il Messico, ottenendo con il tiro in prima l’out che chiuse la partita.

Il problema è il nostro campionato

Avrei moltissimo da dire, ma me la posso cavare con un link. Anticipa più o meno tutto quello che avevo in mente Marco Mazzieri (manager della nazionale dall’autunno 2007 alla fine dell’ultimo Classic) nell’intervista che ha rilasciato a Gianluigi Calestani per il redivivo Tuttobaseball.
Approfitto di quanto potete leggere nell’intervista (sono d’altra parte concetti che condivido da anni…) per limitarmi al commento. Il campionato italiano è così, ma non è che questo sia obbligatorio. Lo si può anche cambiare. Il fatto è che quasi tutti amano parlare di quel che ci sarebbe da fare, ma nessuno lo vuole fare. Sono decenni che assisto a discussioni sui massimi sistemi, ma la verità è che nessuno vuole giocare di più. Però non voglio unirmi a uno dei luoghi comuni che nel nostro movimento si sussurrano da sempre: “il problema sono i dirigenti”. Il problema sono tutti: non vogliono giocare di più nemmeno i tecnici e meno che mai i giocatori. Ancora una volta non mi metto a giudicare le motivazioni. Dico solo: se sbaglio, smentitemi. Preparate un progetto di campionato serio, che preveda un 60 partite per cominciare. Che preveda un livello intermedio per consentire ai giovani (in particolare, ai giovani lanciatori) di crescere giocando. Che preveda un’attività in autunno e inverno sulla falsariga della Instructional League americana. Riscrivete la normativa sugli ASI (atleti di scuola italiana) impedendo che possa essere aggirata mettendo in campo dei cinquantenni, contendendoseli anche sul mercato a suon di biglietti da 100 euro.

La gioia irrefrenabile degli azzurri dopo la vittoria sul Messico (Gabriel Roux MLB)

Le convocazioni in nazionale

La nazionale è un bene di tutti. Ma come comporla, dipende dagli obiettivi che si hanno.
Per dire: non ho tanto capito il senso di convocare Mario Chiarini (con tutto il rispetto per chi lo ha convocato, oltre che per Mario Chiarini) dopo un anno che non giocava e per fargli fare un turno in battuta. Probabilmente mi sfugge qualcosa.
Per come la vedo io, i punti fermi della nazionale devono rimanere punti fermi della nazionale, anche se si gioca il World Baseball Classic. E sempre ammesso che siano punti fermi della nazionale. Perché c’è una bella differenza tra il dire che un giocatore occupa un ruolo perché “non abbiamo di meglio” e il dire che quel giocatore in quel ruolo rappresenta una soluzione “pienamente soddisfacente”. Come era il caso di Chiarini e Peppe Mazzanti nel Classic 2009.
Quella che ho scritto sopra è un’opinione molto personale e che, se volete, lascia il tempo che trova. Ma che partecipare al World Baseball Classic 2021 con una squadra fatta solo da giocatori di scuola italiana, o anche con una squadra fatta solo da giocatori del nostro campionato, sarebbe un passo decisivo per uscire dal tabellone principale del torneo, quello è un fatto incontestabile. Vogliamo che succeda?

Lo sviluppo degli atleti è una strada parallela all’attività di vertice

Se guardate a com’è organizzata la MLB, noterete che il percorso di un giocatore verso la prima squadra è fatto di almeno 4 fermate attraverso vari livelli. Alex Liddi, unico giocatore di scuola italiana ad arrivare al massimo livello, ha iniziato il suo percorso nel 2006 e lo ha completato nel 2011, salendo in Grande Lega quando a settembre il roster passa da 25 a 40 giocatori e conquistandosi poi il posto nella rosa dei 25 per la stagione successiva. Liddi lo può certamente confermare: non si entra in uno spogliatoio di Grande Lega se lo staff tecnico non crede che si possa essere utili alla causa.
Non c’è niente da inventare. I giocatori che hanno mezzi si devono dedicare con tutte le energie che hanno al progetto di crescere, devono confrontarsi con i più bravi quando sono pronti per farlo e dimostrare di valere il loro livello. Il resto, fa parte delle chiacchiere inutili.
Il campionato di vertice deve offrire bel baseball, vendere biglietti, attirare attenzione. Non è (non può essere) la palestra per la crescita dei giovani e nemmeno va composto con criteri geo politici per dimostrare che il baseball è quello sport nazionale che non è. I giovani ci devono arrivare quando sono all’altezza di quel livello e si deve giocare dove ci sono gli impianti che possano decorosamente ospitare uno spettatore pagante (quindi cliente). Tutte le altre soluzioni non portano a nulla. Ce lo abbiamo davanti agli occhi da 40 anni abbondanti, ma facciamo finta di non vederlo. La nostalgia verso le regole degli under, quando giocavano tutti italiani, quando gli stadi erano pieni mi ricordano i discorsi tra zio di mezza età e nipote adolescente di ogni riunione di famiglia che si rispetti. Perché se notate, non c’è nessuno zio di mezza età che non sia stato scavezzacollo a scuola, malandrino con le ragazze e una specie di Tom Sawyer nel rapporto con i genitori, quando era adolescente. Ma io vi posso dire che conosco solo zii di mezza età che erano impeccabili a scuola, imbranati con le ragazze e sinceri e rispettosi con i genitori. Anche se raccontano il contrario ai nipoti adolescenti. E così è il mondo del baseball: siamo tutti stati tifosi di squadre che riempivano gli stadi, trepidavamo per roster composti quasi solo da giocatori italiani e quei pochi stranieri (e quei pochi oriundi, erano veri oriundi…) erano molto più bravi di quelli di adesso. Senza considerare che eravamo tutti i giorni sui giornali, Ormezzano scriveva per Tuttobaseball (che era settimanale…) e Lello Bersani parlava di baseball alla Domenica Sportiva.

Cosa lascia il World Baseball Classic al baseball italiano

Il problema è un altro. Il baseball italiano non deve angustiarsi su come viene composta la nazionale per il World Baseball Classic. Ma preoccuparsi di programmare quello che si fa prima e dopo il World Baseball Classic per far crescere i giocatori che potrebbero far parte di quella nazionale. Se non si fa niente, non resterà anche nel 2021 (e nel 2025 e nel 2029…) che andare a leggersi pazientemente le rose delle squadre americane alla ricerca di cognomi da Paisà. Sempre che, nel frattempo, il Parlamento non cambi la legge sulla cittadinanza.

Questo era il mio ultimo articolo sull’attualità del baseball italiano per il 2017

L’ho detto e lo ribadisco e non farò eccezioni.  Alla prossima.