Delle telecronache di baseball

BASEBALL, Il praticante, SPORT, TELEVISIONE

Ero in centro a Parma e stavo amabilmente conversando con un’amica. Mi si è avvicinato un tizio (che non conoscevo) e mi ha detto: “Erano 20 anni che non seguivo il baseball, ma lei mi ha fatto stare attaccato al video per tutte le finali. Grazie, Schiroli“.
E’ un bel complimento, che ovviamente condivido con Vezio Orazi e Giulio Montanini (in onda con me) e con Global Television di Willy Bargauan (che realizza le riprese) e naturalmente con Rai Sport, che ci manda in onda. E’ anche lo stimolo a dedicare una serie di riflessioni alle telecronache. Parto da una serie di considerazioni generali e, nei prossimi giorni, conto di arrivare a parlare più nello specifico di questa stagione 2014.

Eccomi al lavoro nella postazione di Rai Sport, giugno 2014
Eccomi al lavoro nella postazione di Rai Sport, giugno 2014

Faccio il radio e telecronista da una vita. Il mio debutto risale al 1984 e da allora di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta.
Avevo poco più di 20 anni e, come è logico a quell’età, er convinto di essere più o meno infallibile. Così, quando un più esperto radiocronista mi disse di riascoltarmi, perchè il mio accento parmigiano in onda era fortissimo, mi offesi parecchio. Ma mi riascoltai e capii che il collega più esperto aveva ragione. Non seguii un corso di dizione: ero e resto contrario alla ricerca della perfezione in questo ambito e favorevole al fatto che si capisca la Regione di provenienza di chi parla. Però cercai di migliorarmi.
Negli ultimi 30 anni non ho mai cambiato idea nè modo di lavorare: mi riascolto pazientemente (e con quella dose di narcisismo che ci vuole, per intraprendere un’operazione del genere) e cerco di migliorarmi.

Per chi si vuole migliorare, le critiche sono molto più utili degli elogi. Ma chi vi dicesse che riceve critiche volentieri, mentirebbe sapendo di mentire. Io non amo essere criticato. Ma lo ritengo inevitabile.
Ad esempio, io non sono un cronista-urlatore (come va di moda adesso, specie a SKY) e neanche un cronista-venditore (quello per il quale è tutto straordinario, incredibile, fantastico). Non sono un cronista-ammiccatore (tutto un risolino, tra lui e il pubblico; sembra inevitabile tenere un tono del genere quando si commenta in differita o in diretta, ma da studio) e nemmeno un cronista bellico (che abusa di termini come scontro, battaglia, ritirata). Non sono neanche un cronista-mattacchione (per dire, uno che urla pepipepitone sui fuoricampo). A ben pensarci, io sono io. Uno che ha un suo stile.
Il mio modello resta comunque Bruno Pizzul: un italiano non banale ma tutt’altro che ricercato, enfasi quando succede qualcosa che vale la pena enfatizzare, divagazioni senza perdere di vista quel che succede in campo e, soprattutto, la convinzione che si sta raccontando un evento sportivo. E’ intrattenimento, non questione di vita o di morte.

Non penso mi capiterà mai di fare la cronaca di una finale dei Mondiali di calcio, ma se dovesse succedere io non direi mai “stai seduto, Domenech” o “indecente Zidane” (Caressa, 2006). Io sono più per: “Il replay ci mostra con ogni evidenza la testata di Zidane a Materazzi: il giocatore della Francia va espulso e l’arbitro non deve tollerare le proteste del suo allenatore”.
Io sono per il rispetto di giocatori e allenatori. Rispetto che, sia chiaro, non significa compiacere. Un errore difensivo resta un errore difensivo. Una mossa sbagliata resta una mossa sbagliata. Uno swing su un lancio palesemente ball resta uno swing su un lancio palesemente ball.
Ho avuto infinite discussioni con atleti e tecnici di ogni sport su questi punti. E ho sempre notato che gli atleti e gli allenatori (sto generalizzando: diciamo la maggioranza di loro) sono molto influenzati dalla notorietà della persona che è chiamata a raccontare le loro gesta (maggiore notorietà del cronista, maggior tolleranza dello sportivo) e sono anche piuttosto permalosi. Non ci sono allenatori di calcio veramente disposti discutere di tattica con un giornalista e non ci sono giocatori di baseball disponibili ad accettare un rilievo da qualcuno che non abbia avuto almeno la loro carriera. Questo fino a quando non succede che iniziano a stimarvi, considerandovi corretto, se non addirittura competente.

Il peggio dei vostri guai di cronista non viene comunque da giocatori e allenatori, piuttosto da chi sta a casa ad ascoltare le vostre cronache e ne riferisce parzialmente.
Negli anni ’90 scrissi un pezzo dal titolo Onda Emilia, le fidanzate e le mamme sulla fanzine ufficiale dello stadio Europeo di Parma. Purtroppo non lo trovo più, ma ricordo che fece parecchio scalpore. Nessuno si era mai permesso di dire a fidanzate e mamme di farsi i cavoli loro. Io lo feci, perchè sapevo quel che dicevo ed ero pronto a confermarlo, perfettamente consapevole che scripta manent. Di molte di quelle persone a cui chiesi (più o meno gentilmente) di piantarla di buttare benzina sul fuoco sono diventato amico. Altre hanno smesso di parlarmi e me ne sono fatto una ragione.

Mi è anche capitato di dover chiedere scusa. Una su tutte, fu una mia radiocronaca di Catanzaro-Parma (serie B di calcio) in cui definii un intervento di Lorenzo Minotti “demente”. Non avevo tutti i torti (Minotti saltò a deviare una palla di mano, manco fosse un giocatore di pallavolo), ma il termine era esagerato; prima lo ricompensai  quando segnò il pareggio con un: “Gol di Minotti da antologia del calcio” (una specie di SKY ante litteram: era solo un tiro da fuori area) e poi mi cosparsi il capo di cenere per la parola che avevo usato e che certo era offensiva.

Quando ho accettato di affiancare i cronisti RAI (stagione 2010) ero conscio delle difficoltà. Intanto interpretavo un ruolo ibrido, visto che non ero io la prima voce e non potevo dare il mio ritmo alla partita. Ma allo stesso tempo ero stimolato: avevo l’occasione di rendere un gran servizio al baseball e di coronare un mio sogno di cronista alle prime armi che avevo rimosso. “Un giorno gliela farò vedere a tutti quelli che ce l’hanno con me” avevo scritto su una delle mie agendine di appunti “Arriverò alla RAI”.
Avevo ben presente che il mestiere di radio e telecronista è tra quelli che hanno più potenziali concorrenti. Non sapete quanta gente c’è, che si ritiene in grado di tenere il microfono per 3 o 4 ore con scioltezza.

Partendo da tutte queste considerazioni, nei prossimi giorni parlerò un po’ più nello specifico delle telecronache di baseball di questa stagione su Rai Sport Due. Del bello e del brutto che è stato farle.