Il capodoglio: succede anche che il leggendario leviatano esploda

FICTION E PROGETTI EDITORIALI, le mie bestie

Durante il soggiorno a Taichung, isola di Taiwan o Cina Taipei che dir si voglia, per le Asia Series di baseball del novembre 2013 mi sono affidato a diverse persone. In Estremo Oriente è così: con la maggioranza delle persone non ci si capisce nemmeno a gesti e si ha bisogno di un interprete.
Jason Pan è un giornalista di cronaca che desidera con tutto il cuore occuparsi di baseball. A tal punto, che è sempre stato disposto a fornire collaborazione gratis per la copertura di tornei organizzati sull’isola. Visto che dal 2001 a oggi Taiwan ha organizzato di tutto, Jason (che si presenta con un formidabile biglietto da visita che recita Jason Giambi Pan) ha collaborato con me parecchie volte. E sembrerebbe per il suo piacere, tanto che a novembre (è stata la prima volta in cui ci siamo visti di persona) prima che ripartissi si è preoccupato di donarmi una confezione di The e una di dolcetti locali.

La raccapricciante scena del dopo esplosione della balena a Tainan
La raccapricciante scena del dopo esplosione della balena a Tainan

Una sera del febbraio 2014 stavo facendo un pigro zapping tra i canali che si occupano di animali e natura quando ho sentito nominare prima Taiwan e poi il giornalista Jason Pan. Dopo aver considerato l’ipotesi di essermi addormentato e aver iniziato a sognare (o forse, ad avere un incubo), ho dovuto ammettere che si trattava davvero di Jason Pan. E il motivo per cui stavano intervistando Jason Pan su National Geographic era, se possibile, ancora più curioso del fatto stesso che lo intervistassero. Jason Pan era stato il primo giornalista a divulgare la notizia che una balena era esplosa.

Mi rendo conto che non è che le balene esplodano regolarmente, né a Taiwan né in nessun altro luogo. Inizio quindi dalla notizia. La traggo (risale al gennaio 2004) dal sito di NBC news e faccio affidamento sulle proverbiali  5W del giornalismo anglosassone per dimostrare che non sto traendo l’episodio da un film splatter: “I residenti di Tainan hanno imparato qualcosa sulla biologia delle balene dopo che il corpo in decomposizione di un capodoglio di 60 tonnellate è esploso in una strada trafficata, provocando un diluvio di organi e sangue sulle auto e le attività commerciali, bloccando il traffico per ore”.
Tainan è nella zona sud ovest di Taiwan ed è una città di quasi 800.000 abitanti. A Taiwan vivono prevalentemente cinesi (anche se loro amano definirsi taiwanesi) e hanno lo stesso gusto dell’orrido dei loro cugini del Continente. Scrive la stampa di Taiwan: “Non meno di 100 uomini si sono portati nei pressi del corpo del capodoglio per verificarne le dimensioni del pene”.

La cosa incredibile è che l’esplosione del corpo di un capodoglio in decomposizione non è per nulla una cosa atipica. Un incidente del genere si è verificato recentemente alle isole Far Oer ed è documentato da un video. Non riporto i video sul capodoglio di Tainan, perché quelli che si trovano in rete sono decisamente dei falsi che gongolano sulle potenziali reazioni delle persone travolte dalle interiora. E certamente, non posso riportare quello di National Geographic senza prima passare da una lunga procedura per chiedere il permesso.
Il capodoglio è in effetti costruito per sopportare un’incredibile pressione, visto che si immerge fino a 3000 metri di profondità. Ma durante la decomposizione la struttura per forza di cose si trasforma, la pelle (che è dura e rugosa; c’è chio dice che sembra una prugna secca) diventa molto più sottile e i gas che si sviluppano all’interno del corpo possono provocare questo fenomeno. Che deve essere abbastanza raccapricciante. Hanno un odore già sufficientemente nauseabondo le interiora di bovino o suino in macelleria, figuriamoci quelle di un mammifero che vive in acqua e che pesa 60 tonnellate.

Il capodoglio in natura
Il capodoglio in natura

Il capodoglio è la balena per eccellenza grazie al fatto che Melville immaginò che Moby Dick fosse proprio, secondo il vocabolo inglese, una sperm whale. L’opinione comune lo accosta anche al Leviatano della Bibbia.
Il naturalista Linnaeus, sul finire del diciottesimo secolo chiamò il capodoglio Physeter (dal greco “che soffia”) Macrocephalus (sempre dal greco: “dalla testa grossa”). La testa contiene una sostanza cerosa e semi liquida che si chiama spermaceti (ancora dal greco: “sperma di mostro marino”).  I primi balenieri infatti pensavano che si trattasse dello sperma della balena e naturalmente non è così. Lo spermaceti infatti serve a garantire le operazioni di galleggiamento. Prima che il capodoglio si immerga, l’acqua fredda solidifica la cera e aiuta la spinta verso il basso, consentendo al cetaceo di arrivare a profondità impensabili anche per il più evoluto sottomarino militare. L’ossigeno immagazzinato poi scioglie lo spermaceti e consente alla balena di riemergere.
Per i marinai italiani lo spermaceti era olio e, da qui, viene il termine di capodoglio nella nostra lingua.

Leggendo Moby Dick si incontra l’ipotesi che lo spermaceti, una volta solidificato, rendesse durissima la testa dei capodoglio e fosse quindi un’arma per i combattimenti tra maschi. Ma non saprei se questa ipotesi trova conferme scientifiche. Sta di fatto che questo liquido aveva moltissimi utilizzi commerciali: come lubrificante per gli strumenti di precisione, per la produzione di medicine e vitamine, in cosmetica, come detergente e composto anti ruggine. Per il povero capodoglio, insomma, si è rivelato una vera e propria condanna, visto che è stato cacciato indiscriminatamente. In compenso, visto che resta una specie cosmopolita che vive ovunque (incluso il Mediterraneo), la sua conservazione è messa meno a rischio rispetto a quella di altre balene. Una stima dice che al mondo ne sono rimasti 500.000.

Un capodoglio si immerge vicino a una barca di whale watchers a Kaikoura
Un capodoglio si immerge vicino a una barca di whale watchers a Kaikoura

Sempre leggendo Moby Dick, non è che il capodoglio si incontri poi molto. Melville dedica per la verità un intero capitolo (Cetologia) ai nomi tradizionali dati al capodoglio, ma Moby Dick è più che altro una presenza che si avverte, non il protagonista di un libro d’avventura. Non cercherò qui di spiegare il concetto di bianchezza che sembra ossessionare Melville e il Capitano Ahab (ci hanno provato fior di critici, ma una certezza non è stata raggiunta), ma voglio solo dire che il romanzo ha un fine più alto, rispetto all’osservazione degli animali. Io invece, dopo le tante versioni cinematografiche di Moby Dick e dopo aver letto per intero il libro, avevo proprio il desiderio di vedere il capodoglio in natura.

Il 12 gennaio del 2009 ero alla fine di un viaggio in Nuova Zelanda e sono andato in auto da Christchurch, un angolo di Inghilterra nell’isola del sud, a una località costiera denominata South Bay, nella penisola di Kaikoura. Disabitata fino a metà 1800, divenne base per le baleniere e dal 1987 è ritenuta il miglior posto dove osservare il capodoglio, che vive qui tutto l’anno. La piattaforma continentale ha infatti uno scalino che porta la profondità da 80 a 800 metri in un attimo e l’incrocio di correnti calde e fredde a profondità abissali rende la zona perfetta per il capodoglio. Non dimentichiamolo: stiamo parlando del più grande predatore esistente (mangia fino a 1.5 tonnellate di pesce ogni giorno), il più grande anche tra gli odontoceti (ovvero balene con i denti). Il capodoglio maschio non teme infatti nulla (anzi, attacca addirittura i calamari giganti), ma può succedere che le orche (altri odontoceti) predino femmine e piccoli.

Big Neck "sfiata"
Big Neck “sfiata”

South Bay non ha particolari attrattive, a parte i chioschi che cucinano il whitebait (frittura di immature fish, avanotti), un tizio che vi mostra come si tosa (lo chiamano shearing; è anche una disciplina sportiva nella quale i neozelandesi sono campioni del mondo…) una pecora, una colonia di foche pelose e un mare freddo e agitato. E a parte le uscite di whale watching, che sono splendidamente organizzate, ancorché spesso cancellate per il maltempo. Fuori dal quartier generale dell’azienda che organizza le uscite ci sono infatti continui aggiornamenti sulle condizioni del mare e io ho vissuto ore d’ansia, prima di decidere di prenotare 2 uscite, non si sa mai.
Il capodoglio non è la balena più facile da osservare. A South Bay lo individuano facilmente, perché le barche sono dotate di sonar e anche il capodoglio ha un sonar interno che gli permette di individuare le prede. Ma quando sale, sfiata per qualche minuto e poi resta sostanzialmente immobile.

Lo spettacolo della coda di Taiki che si immerge
Lo spettacolo della coda di Taiki che si immerge

In entrambe le uscite siamo stati sulle tracce di Taiki, un giovane capodoglio di 20 anni (questa balena vive anche fino a 80 anni e continua a crescere fino a 50) che ha appena raggiunto la pubertà e quindi è piuttosto vivace, e del più anziano Big Neck. Quando quest’ultimo emerge, è veramente impressionante. Sarà infatti 15 metri e la barca gli arriva veramente vicino. E’ agevole osservare il suo manto grigio, e Big Neck ci permette anche di avere un’idea dell’enorme testa del capodoglio (il cervello pesa anche 9 chili) e della bocca, la cui parte inferiore da più l’impressione di una sega, che di una mandibola. Lo sfiatatoio è stranamente (rispetto alle altre balene) vicino alla parte frontale della testa e spostato sulla sinistra. Non ha una vera e propria pinna dorsale, ma una serie di escrescenze sul dorso, una delle quali veniva chiamata gobba dai balenieri.
Taiki ci dà invece le spalle. Ma non è un atto che prendiamo per maleducazione.  Come ho annotato sul mio diario di allora: “Taiki fa un movimento lento e maestoso e poi si immerge, permettendoci di realizzare foto memorabili”. La sua coda triangolare va infatti altissima e ci dà un’immagine indimenticabile.
Quando il capodoglio si prepara a immergersi, praticamente prende la rincorsa. Si dà la spinta anche 3 volte, resta con la coda sospesa e poi sparisce nell’abisso.
Si balla parecchio, specie quando si sale al punto più alto della barca per fotografarlo. Osservare un capodoglio è insomma sconsigliabile a chi soffre di mal di mare.
Nel viaggio di ritorno verso South Bay è facile incontrare i giocherelloni dusky dolphins, ma anche squali (noi incrociamo un velocissimo mako) o le orche (che da noi non si sono fatte vedere). I biologi di bordo ci mostrano immagini di episodi non frequenti, tipo l’attacco delle orche al quale accennavamo prima.

L’uomo è il peggior nemico del capodoglio. A parte la pesca, per fortuna proibita quasi ovunque,  i cavi telefonici transoceanici a volte intrappolano il capodoglio e lo fanno morire annegato. Oltre a questo e alle onde radio che gli mandano in tilt il sonar, il capodoglio può anche morire per la banale malattia da decompressione, se risale troppo alla svelta.
Sono questi alcuni dei motivi per cui se ne trovano spesso in decomposizione sulle spiagge. L’ultimo caso è quello di un cucciolo che si è spiaggiato a Livorno domenica 16 febbraio.