Io e Giulio Glorioso

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Ho letto che Angelo Introppi pensa che il maggior valore che emerge dalla figura di Giulio Glorioso sarebbe il suo opporsi alla gestione della FIBS. Prima ho provato tristezza, poi ho tratto ispirazione per questo. Il mio ricordo del grande Giulio. Per chi legge un’avvertenza: non è un’elegia.

Non ho mai visto giocare Giulio Glorioso. Il motivo è tecnico e anagrafico. Tecnico perchè ho iniziato a interessarmi al baseball nel 1975, anno in cui Glorioso era squalificato. Anagrafico perchè sono nato nel 1963 e comunque difficilmente riuscirei ad avere ricordi di prima mano anteriori.
Ma Glorioso ovviamente sapevo chi era. Anzi, nei lunghi pomeriggi estivi a Nettuno, mio zio continuava a mostrarmi un complesso caricamento da lanciatore vantandosi: “Così lanciava il grande Glorioso“.

Giulio Glorioso a fine carriera
Giulio Glorioso a fine carriera

La definizione mi colpì. Mio zio Arnaldo chiamava tutti per nome (incluso il Presidente della FIBS, che per lui era Bruno) e questo lo chiamava per cognome, definendolo addirittura grande.
Quando intervistai Giulio Glorioso per Un diamante azzurro nel 2006 parlai dell’episodio e lui rispose: “A Nettuno ero conosciuto anche con qualche affettuoso soprannome”.
Non so se Capoccione (come poi ho scoperto lo chiamavano) era proprio affettuoso, fatto sta che Glorioso a Nettuno ha lasciato una traccia indelebile del suo passaggio: “In me ha lasciato il segno” mi ha detto Giampiero Faraone poche ore dopo che si era diffusa la notizia della morte di Giulio.
A Nettuno in effetti Glorioso passò 3 stagioni indimenticabili, come allenatore e imbattibile lanciatore, vincendo gli scudetti 1963, 1964 e 1965. Ma forse il suo meglio come giocatore lo diede a Milano. Quella del 1961 fu una stagione impressionante: nessuna sconfitta, solo 8 punti guadagnati in 156 riprese (la media punti guadagnati di 0.46 resisterà come primato fino al 2011, quando Darwin Cubilan del San Marino la aggiornerà a 0.41, ma lanciando meno di un terzo degli inning) e il titolo di miglior battitore. Commenterà così Giulio nel 2011: “Complimenti a Cubilan, un vero pro. Ma credo che la mia media battuta di quell’anno farà fatica a batterla”

Nel 2006 Glorioso mi concesse la prima e unica intervista. La ricordo ancora come un’agonia, perchè Giulio era di una precisione maniacale. Per dire: quando gli chiesi se si riconosceva nella definizione di primo professionista del baseball di casa nostra, lui rispose: “E’ maliziosa?” e rise.
Pretese poi che dal testo venisse tolta la mia osservazione che dicendolo aveva sorriso, visto che stavamo parlando al telefono e non potevo sapere se aveva veramente sorriso.
Dovetti riscrivere il testo 3 volte, prima che fosse soddisfatto. Io ero a Taiwan, lui a Roma e nessuna modifica richiesta era sostanziale.
Come detto, Giulio non mi ha concesso altre interviste. Ma spesso mi ha supportato.
Era lucidissimo e sempre documentato. Quando gli si chiedeva qualcosa sul passato, andava a scavare tra i suoi documenti e se ne usciva con vere e proprie chicche, scritte in un Italiano evocativo che ricorda Gabriele D’Annunzio. Come quando raccontò nel 2002 la prima partita della nazionale, che aveva lanciato da partente il 31 agosto del 1952: “La prima nazionale azzurra, come Renato Germonio ricordò poi sul giornale federale, in realtà giocò in maglia viola con le divise fiammanti del distaccamento U.S. Army di stanza a Trieste (manager Sam Corallo, coach Albert G. Vada). Ricordo l’emozione per la prima uscita allo stadio Torino. dove il baseball si era però affacciato già nel 1920, quando si chiamava stadio Nazionale, con la partita dimostrativa di 2 squadre della Young Men’s Christian Association: un bel salto per il baseball dal campo Artiglio di Piazza Bologna, dal campo della Rondinella a Villa Glori, dall’Apollodoro di Viale Tiziano, dal Motovelodromo Appio. Ricordo la sorpresa di essere il lanciatore partente, gli applausi a Gregory Peck (a Roma per girare Roman Holiday, con Audrey Hepburn); e l’incoraggiamento della folla: Forza Italia. Ricordo che il mio primo lancio fu uno strike”.
L’ultimo contributo che ho avuto da Glorioso riguarda Sotto il segno del leone, la biografia di Bruno Beneck. Mi raccontò: ““Beneck fu eletto presidente della Lazio Baseball a fine stagione 1966, dopo diversi colloqui con Sandro Petrucci, giornalista sportivo RAI, il DS Giuseppe Bilancioni e con me, Presidente di rilievo da pochi mesi, determinati a rilanciare il baseball a Roma. Fu accolto con entusiasmo anche dalla Presidenza generale della polisportiva Lazio e dal Presidente della Lazio Calcio Umberto Lenzini, che ospitò la Segreteria del baseball presso la sede di Via Col di Lana. Grazie alle sue relazioni Beneck riuscì a ottenere la sponsorizzazione della Incom Mobili di Roma”.

Glorioso amava scrivere. Ci sono stati periodi in cui sono stato letteralmente travolto di e-mail dal suo indirizzo momentum@laziobaseball.it. Con Giulio mi ero anche arrabbiato, perchè lui amava discutere per il gusto di discutere e, quando era in giornata, non c’era spiegazione che lo potesse accontentare. Così un giorno gli scrissi che mi ero stancato e che doveva rivolgersi a me solo per informazioni che riguardassero l’ufficio stampa FIBS. Mentre lo facevo, pensavo che in effetti è impossibile che duri a lungo il dialogo tra 2 persone che hanno come hobby quello di contraddire gli altri per vedere l’effetto che fa. Ma non sono pentito, perchè Giulio sapeva come essere molesto, quando voleva. E sinceramente credo che si sia meritato quella mia freddezza.
Abituato a essere l’ago della bilancia in campo (e a esserne pienamente consapevole: un suo compagno di squadra del 1966 mi ha detto che per Giulio il catcher era sostanzialmente un “cane da riporto”), Glorioso lo voleva anche essere fuori. Ma se il suo rendimento sul terreno di gioco resta inarrivabile (per quanto, come gli ho fatto notare senza remore, a livello internazionale non fosse proprio così imbattibile come in Italia), quello da tecnico e dirigente merita qualche distinguo. Primo, perchè il rendimento di un giocatore di baseball è misurabile con parametri difficili da confutare, quello di un dirigente o di un tecnico meno.
Glorioso è stato l’uomo di molte svolte. Era ancora giocatore di primo piano e già allenava ed era sostanzialmente anche un dirigente. Perchè dietro al Torneo d’Oro del 1958 alla fine c’era lui. O almeno, anche lui. Per quanto quell’idea costò la rielezione al Principe Borghese. Dietro al Presidente del Milano Ghitti nella campagna che portò all’elezione di Giuseppe Ghillini c’era lui. Dietro al primo tentativo di giocare una Champions League (Milano contro le basi NATO nei primi anni ’60) c’era lui. Dietro al varo del campionato a 2 partite settimanali (1965) c’era lui. Dietro le prime trasferte della nazionale in America c’era lui. Dietro all’interesse delle Franchigie americane per i nostri giovani (segnalò prima Rinaldi e poi Castelli) c’era lui. Dietro all’ascesa di Bruno Beneck, ancora una volta, c’era lui.

La cosa inquietante è che Glorioso certamente ebbe un ruolo molto rilevante anche nella caduta di Beneck, almeno sostenne il giornalista Renato Corsini nella raccolta delle informazioni alla base del suo monumentale (176 pagine) dossier contro gli sprechi della FIBS.
Tra Glorioso e Beneck c’era un rapporto di odio e amore. Beneck inviò Glorioso (assieme a Massimo Ceccotti e Sergio Baroni) tra il 1972 e il 1973 alla ricerca di talenti americani di origine italiana che potessero ottenere la cittadinanza italiana. Si può dire che Glorioso sia stato decisivo per l’inizio dell’era degli oriundi, alla quale poi si è opposto con tutte le energie, fin da quando era giocatore. La squalifica che di fatto chiuse la sua carriera (saltò la stagione 1975 e non lanciò più, giocando solo altri 2 campionati con la Lazio come esterno e battitore in serie B), deve avere a che fare con quelle polemiche. Ma mi riservo di indagare meglio.
Nonostante Glorioso lo attaccasse da tutte le parti (dopo Los Angeles scrisse lettere, come risulta dai verbali del Consiglio Federale, “a chiunque”), Beneck ritirò comunque la sua casacca numero 33, quella con cui aveva giocato in azzurro.

Giulio Glorioso negli anni 2000
Giulio Glorioso negli anni 2000

Di fronte a mie specifiche domande, Glorioso aveva sempre abbozzato su quelli che io ritenevo insuccessi tecnici. Le varie trasferte della nazionale non portarono risultati apprezzabili. Beneck, in campagna elettorale, definirà l’attività internazionale dell’allora FIPAB “Ridicola e contro producente”. Ma lo stesso Consiglio Federale aveva preso atto della inferiorità atletica dei nostri giovani: “I giocatori che abbiano riflessi pronti per battere una palla veloce e per pensare sempre abbastanza in fretta, al fine di fare il giusto gioco sul campo, sono pochi. Anche i nostri giocatori più forti hanno delle braccia deboli, in confronto ai nostri avversari”.
Ultimamente, Giulio attaccava la FIBS e la IBL perchè secondo lui non facevano abbastanza per il baseball olimpico. E non voleva sentire ragioni, quando gli provavo a spiegare che nel percorso del rientro alle Olimpiadi le scelte di una singola Federazione nazionale avevano ben poco peso.
Glorioso non ha nemmeno mai voluto accettare il concetto che quello che lui imputava agli oriundi o agli stranieri (arrivare dal nulla e portare via il posto ai ragazzi locali) lui stesso lo aveva fatto a Milano, Nettuno e Parma.

Detto tutto questo, una cosa al Giulio Glorioso anziano che ho conosciuto di persona la devo riconoscere per forza. Lui non si è mai occupato di nulla per avere vantaggi personali. Anche quando sbagliava, era fortemente convinto di essere nel giusto e, soprattutto, di agire per un interesse comune.
Per questo, se penso al suo passaggio in terra, non posso che mettermi sull’attenti, togliere il cappello e abbassare il capo. In segno di rispetto.