Passa un anno, ma la United Airlines non perde il vizio…

SCHIROPENSIERO, STORIA, Texas e Bahamas 2016-2017, VIAGGI , ,

Un anno fa il viaggio di ritorno da Truk è iniziato il 5 gennaio e mi ha visto prendere il volo per Londra il 10, quindi con 4 giorni di ritardo. Colpevole di tutto ciò è stata la United Airlines, che ha cancellato per 2 volte il Truk-Guam. Dopo una serie di e-mail, la United ha riconosciuto un credito da spendere su voli della compagnia entro febbraio 2017. Essendo intenzionati a volare dal Texas alle Bahamas, quando abbiamo scoperto che la United ha un comodo volo dal George Bush di Houston al Lynden Pindling di Nassau, il gioco sembrava fatto…

Con il brutto tempo alla United Airlines non ce la possono fare. Leggo dai miei appunti del 2 gennaio: “C’è brutto tempo a Houston e la United sta ritardando di tutto”.
Mentre scrivevo, la United non aveva ancora deciso un orario di partenza. Però con una coincidenza per le 18, ero abbastanza tranquillo. Pensavo, è vero, che a saperlo potevo dormire un po’ di più. Ma insomma, anche qualche ora da buttare fa sempre comodo, quando si ha un Kindle al seguito con ben più libri di quanti se ne potranno leggere ragionevolmente in questa e nella prossima vita.
Il tempo migliora e in effetti si parte. Ma attenzione, perché la successione degli eventi diventa la seguente:
1) La United annuncia che si partirà alle 12.40
2) La United mi manda una e-mail (che leggo sul telefono) nella quale anticipa la partenza alle 11.50
3) Al gate appare uno spiritosissimo cartello: “Stavolta sarete contenti per una informazione imprecisa”. La United annuncia a tutti che si parte alle 11.50
4) Ci imbarcano in tutta fretta e l’aereo si prepara a decollare
5) Dopo un po’ che siamo pronti, l’aereo spegne i motori. Temiamo il peggio
6) Partiamo alle 13 abbondanti, quindi in ritardo sul ritardo

L’aereo atterra a Nassau alle 16 di Houston. Molto prima delle 18, direte voi. Ma c’è il trucco: le Bahamas hanno il fuso orario della costa Est degli USA, quindi sono un’ora avanti e a Nassau sono le 17.
Con in mano le carte d’imbarco (le avevamo avute a Houston) scatto verso il check in (si cambia compagnia aerea, da United a Bahamas Air, e i bagagli vanno riaccettati) e lascio mia moglie a ritirare le 2 valigie. E’ una mossa un po’ curiosa e, non a caso, la tizia della dogana mi guarda malissimo quando le spiego perchè non ho bagaglio. Poi, visto che non sto zitto, mi liquida con un “go…go…go”.
Al banco della Bahamas Air c’è una Maman di taglia forte/fortissima e con lo sguardo annoiato al limite del disilluso. Non si scompone quando le spiego il mio problema: “Beh, il fatto che ti abbiano già accettato sul volo è positivo…i controlli di sicurezza non saranno un problema”. Non fa nemmeno previsioni. Torno allora verso gli arrivi. Quando spunta mia moglie con le valigie, tiro un sospiro di sollievo.
Con la Maman va tutto benissimo fino a quando mi dice di mettere la valigia dritta (in the upright position), che per lei è sulle ruote, per me su un lato (come la vogliono sempre ai check in italiani…). Questione di punti di vista. Ma la signora si spazientisce. Che secondo lei dormo, me lo fa capire però con affetto, visto che mi chiama Ricky.
I controlli di sicurezza non sono in effetti un problema e la zona partenze è minuscola. Ci siamo, andiamo a metterci in coda per l’imbarco che è quasi ora….il nostro volo è non è questo? Ma dovrebbe partire alle 18…ah, è in ritardo. E ditelo prima, no?!
Ormai sudati, del ritardo vediamo solo il lato positivo e ci concediamo una sosta cibo, visto che non c’era stata ancora occasione di pranzare. Dopo un sandwich, ci concediamo anche un cocktail e qui le Bahamas mostrano il loro volto per la prima volta, perché 2 cocktail fa quasi 24 dollari. Dollari delle Bahamas, ma che valgono esattamente come quelli degli Stati Uniti. Commento sul mio Moleskine d’ordinanza: “Le Bahamas sono sospese tra 2 dimensioni: quella dei turisti (polli da spennare, tutti i servizi sono carissimi) e quella dei locali”.

Sulla banconota da un dollaro delle Bahamas il volto del “Padre della Patria” Lynden Pindling

Per Bahamas si intende uno Stato formato da 700 tra isole e isolette, la cui popolazione complessiva è di circa 340.000 persone. Lo Stato è parte del Commonwealth, anche se è a tutti gli effetti indipendente dal Regno Unito dal 1973.
Cristoforo Colombo arrivò con il suo primo viaggio, precisamente il 12 ottobre del 1492. Notate le acque basse, scrisse nel suo rapporto (in Spagnolo) che aveva trovato le isole “de la bajamar”. Ponce de Leon (1513) reclamò le isole per la Spagna.
Al momento dell’arrivo di Colombo, molte isole erano disabitate, ma in alcune viveva un popolo definito Lukku Cairi nell’idioma locale Taino. ‘Cairi’ è la parola Taino per dire isola e gli spagnoli la tradussero nel loro idioma (cayo), definendo quindi il popolo Lucayos. Gli Inglesi adattarono il nome alla loro fonetica, definendo gli indigeni Lucayans. Non dovettero usare il termine troppo spesso, visto che la pacifica popolazione delle isole venne ridotta rapidamente in schiavitù e si estinse prima del nuovo secolo.
Il Capitano William Sayle reclamò le isole per la Corona d’Inghilterra nel 1629 e da quel momento le isole vennero conosciute come Bahamas.
Nel diciottesimo secolo le Bahamas erano conosciute come covo di Pirati, tra i quali il celeberrimo Henry Morgan. Nel 1717 della cosiddetta Flying Gang facevano parte circa 800 fuorilegge del mare. Una spedizione organizzata da Re Giorgio Primo però li disperse poco tempo dopo questo curioso censimento.
Nel  1738 a Versailles l’incontro tra le potenze coloniali sancì che le isole diventassero ufficialmente inglesi.
La storia delle Bahamas cambiò quando il Regno di Gran Bretagna, dopo aver abolito il Commercio degli Schiavi (Slave Trade Act del 1807), abolì anche la schiavitù (1833; con il 1834 i discendenti degli schiavi poterono esercitare il diritto di voto). Questo fece delle isole una destinazione dei sogni per molti discendenti di africani e portò anche qualche schiavista irriducibile al soldo dell’Inghilterra ad abbandonare il suo carico nei pressi delle isole. Non a caso oggi alle Bahamas si incontrano pochi mulatti e pochissimi bianchi (a parte i turisti) e sono ben distinguibili le etnie africane originarie.
I discendenti degli schiavi africani sono quindi stati uomini liberi alle Bahamas molto prima che negli Stati Uniti, ma è stato solo nella seconda metà del 1900 che hanno avuto la possibilità di sentirsi rappresentati da un Governo. Protagonista dell’emancipazione del popolo è stato il PLP (Progressive Liberal Party). Nato nel 1953, è stato decisivo per ottenere la libertà di voto per le donne (1962). Finché il potere è rimasto allo United Bahamian Party, di fatto il Governo era manovrato dalla Gran Bretagna. Ma con le elezioni del 10 gennaio 1967, il PLP del leader Lynden Pindling (19302000) conquistò la maggioranza e, per la prima volta nella Storia del Paese, ci furono persone di origine africana al Governo. Il giorno viene ricordato come Majority Rule Day ed è festa nazionale alle Bahamas. Come vedremo, io l’ho festeggiato in mezzo agli squali e per questo ho scoperto che cadeva il cinquantenario di questa pietra miliare solo il giorno dopo le celebrazioni.
Con il ventesimo secolo le Bahamas hanno iniziato anche a essere considerate una meta turistica preferenziale per gli Stati Uniti. Dopo l’indipendenza dalla Gran Bretagna, il Governo americano ha però ripetutamente accusato Pindling di proteggere il narco traffico. Per opporsi a questo stato di cose (quindi al PLP), nel  1971 Hubert Ingraham raccolse l’eredità dello United Bahamiam Party e fondò il Free National Movement che, grazie anche al supporto di fuoriusciti del PLP, vinse le elezioni nel 1992. Con un Governo conservatore i rapporti con i vicini statunitensi sono decisamente migliorati.
Alle Bahamas il Capo dello Stato è la Regina d’Inghilterra, rappresentata da un Governatore (al  momento in carica c’è la moglie di Pindling), ma il Capo del Governo è il Primo Ministro (Perry Christie, che con il PLP ha riconquistato il potere nel 2012).

A Georgetown, isola di Great Exuma, ci accoglie un caldo umido. Supero 2 momenti di panico: il primo quando, dopo che un trattorino ha scaricato i nostri bagagli all’esterno dell’aeroporto, non si trova la mia valigia (che poi riappare chissà come; ma va precisato che c’era piuttosto buio…) e il secondo quando noto che al taxista che ci deve portare in albergo manca un braccio. Il panico passa quando un tal Napoleon ci accoglie così: “Welcome to Paradise Bay. It’s very quiet here”.

Alle Bahamas dedicherò altri 3 articoli, il primo martedì 14 febbraio.

14-CONTINUA