Poi è successo che mi hanno mandato a Piacenza

FICTION E PROGETTI EDITORIALI, Il praticante

“A volte farebbe comodo prendere la propria vita, fare una fotografia e andare avanti così. Ma non si può” Paolo Robuschi

Quando mi ci metto, sono un bel rompicoglioni. In qualche modo, Pier Gaiti lo posso anche giustificare. Non mi sopportava più, perché non gliene facevo passare una. In più c’era l’ambizioso Pietro Adrasto che voleva il mio posto.
Io, che sono in fondo un bravo ragazzo, non mi ero accordo che Piotr stava facendo comunella con la Carlotta, la super gnocca che leggeva il telegiornale e che viveva seguendo la seguente filosofia: “Tutto quello che conta nella vita è l’aspetto”. Con la Carlotta ci avremmo voluto provare tutti, ammettiamolo, ma ci sembrava assolutamente fuori portata. Io, che allora ero più serio di adesso e sia detto per la cronaca, non le avevo mai fatto un complimento che uno e nemmeno un’avance scherzosa. Anzi, l’avevo mandata a stendere una volta, all’ennesima telefonata senza senso durante Italia-Francia del Mondiale 1998 (cosa per cui quasi fa fatica a salutarmi, ancora oggi). E comunque, non potevo certo accettare che si ipotizzasse che lei (una mia sottoposta) arrivasse a guadagnare come me solo perché come aspetto non aveva nulla da invidiare a Valeria Marini.
Oltre alla comunella tra Adrasto e la Carlotta, c’era in redazione anche un nipote di Pierino. Un bravo ragazzo, ma totalmente incapace (lo dico con affetto). Lo riconosce anche lui, che anni dopo mi confiderà: “Avevi ragione, in quel periodo non avevo dignità”.
In effetti, mi succede spesso che i posteri mi diano ragione. Ma tra la fine del 1998 e la metà del 1999 ragione me la davano in pochi. E quando Pierino mi propose di andare a dirigere la nascitura Teleducato Piacenza, mi sembrò il caso di accettare.

Pierino mi aveva convocato nella sua tenuta ai limiti delle città, con tanto di domestico filippino che mi era venuto ad aprire la porta e non aveva capito quando gli avevo detto: “Devo parlare con il Signor Pier”. Venivamo da mesi di scontri, anche aspri. Mi aveva persino scritto una lettera di rimprovero il giorno della presentazione del nuovo Direttore Generale. Il Dottor Pellegrini, che era un chimico e non si sa da dove saltasse fuori, aveva detto che i problemi andavano risolti con “impegno, entusiasmo e fantasia”. Così, quando il telegiornale era andato in onda con 10 minuti di ritardo per un guasto tecnico, mi ero presentato scusandomi e dicendo: “Ma come vedete, con impegno, entusiasmo e fantasia, abbiamo risolto il problema”.
Gaiti non ha un gran senso dell’umorismo
Pierino a casa sua era stato gentilissimo. Cioè: non mi aveva offerto niente, ma quello sarebbe andato contro la sua natura. Non aveva fatto cifre, limitandosi a dire che ne avremmo “parlato con Claudio” (l’uomo Parmalat).
Parlandone con Claudio, incassai un aumento di circa 200.000 lire al mese, l’auto aziendale, i pasti rimborsati e venne stabilito un premio di produzione.  Avrei forse potuto chiede di più, ma a questo modo ero già la persona che conoscevo che guadagnava di più e, solo pochi anni prima, ero stato la persona che conoscevo che guadagnava di meno. Mi potevo accontentare.
Diedi l’annuncia a mia moglie poco prima di una cena con la Giovanna, la sua amica del cuore. Dimostrò un tiepido entusiasmo.

Anche la carica di direttore, così come era stato per quella di capo redattore, mi venne attribuita solo a livello informale.
Viaggiavo da Parma a Piacenza tutti i giorni con la mia Fiat Brava diesel e avevo fin da subito istituzionalizzato la sosta per la colazione all’autogrill di Fiorenzuola d’Arda. A Piacenza avevo una segretaria (la Jessica, una ragazza di 20 anni) e tutto da fare.
Gaiti mi presentò Lunini, un omettino sui 50 e una vena polemica degna di nota. Lunini era il proprietario di tutta l’attrezzatura con cui la televisione funzionava. Ovvero: non lo si poteva cacciare. Ma io, dopo 2 giorni, lo avevo già cacciato, con Gaiti che rideva sotto i baffi.
Il leit motif di Lunini era che la Nicoletta (aspirante giornalista) e suo marito (un commercialista con la vocazione del lobbista) volevano controllare il telegiornale. Il mio leit motif era che lui si doveva occupare di uscire, fare riprese, montarle. Ma che la linea editoriale del telegiornale non doveva essere un suo problema.
Con Lunini costruimmo uno staff di collaboratori molto giovane e molto contestato (dalla Nicoletta, suo marito e il loro clan). Costruimmo anche uno staff di tecnici e registi assieme a una ditta locale. Inserimmo il leggendario Ferruccio (uno dei collaboratori di Gigi Sabani, quando il presentatore finì nei guai). Insomma: costruimmo una televisione, facendo persino tornare i conti.

Tutto bene? Neanche per idea. Gaiti mi contestò un viaggio negli Stati Uniti (giugno 2000) che faceva parte del nostro accordo iniziale (“Accetto” avevo detto parlando con Claudio “Ma il viaggio programmato lo faccio lo stesso”) e quello fu il vero inizio della fine del nostro rapporto, perché Gaiti rifiutò di pagarmi il premio (questo nonostante avessi raggiunto e superato, e in scioltezza, tutti gli obbiettivi fissati).
Il casus belli fu una e mail che scrissi a Gaiti. Ora: io sono (o ero?) un po’ ingenuo e non metto nero su bianco quel che mi fa comodo (gli obbiettivi al cui raggiungimento scatta il premio) e metto nero su bianco quello che mi si può ritorcere contro (scrissi a Pierino: “Ieri mi sono dovuto trattenere per non metterti le mani addosso”), ma la telefonata che Gaiti mi fece non era accettabile: “Se non ti adegui alla linea aziendale, il tuo rapporto con Telemec è finito”.
Ci restai  male. Anzi, quasi andai nel panico. Questo non era previsto: io non vedevo la mia vita fuori da Teleducato.
Ero un po’ come Robin Williams in Mrs Doubtfire: il suo matrimonio con Lena Olin era basato sul litigio, all’ennesimo litigio lui urla, ma lei risponde in modo diverso dal solito: “I want divorce”.
Dissi a Gaiti: “Ma non possiamo parlarne?”. Lui disse di no: era così o niente. Oggi so che Drasto era lì con lui nel suo ufficio, mentre la telefonata era in corso. Ma poi convinsi Gaiti a concedermi udienza (devo fin aver detto: “Te lo chiedo per piacere, quasi ti imploro”).

Era l’autunno del 2000. Arrivai a casa e annunciai a mia moglie che, probabilmente, me ne sarei andato da Teleducato e che non avevo un’alternativa pronta. La mattina dopo fissai un appuntamento con il Sindacato, dove mi consigliarono di andarmene, magari monetizzando.
Mi presentai all’appuntamento con Gaiti sereno. Gli dissi che avevo letto il contratto, che dovevo dare un preavviso di 6 mesi se volevo andarmene e che avevo deciso di andarmene. Avrei mandato le dimissioni il 31 dicembre e lasciato il posto di lavoro il 30 giugno. Nel frattempo, mi aspettavo che la mia carica di direttore sarebbe stata formalizzata, con conseguente aumento di stipendio e pagamento dei premi non pagati a suo tempo.
Gaiti mi riconoscerà: “Sei venuto a parlare con i coglioni sul tavolo”.

I primi 6 mesi del 2001 a Teleducato Piacenza sono stati tra i più felici della mia vita professionale. E mi hanno insegnato una gran lezione: quando qualcosa non va sul lavoro, mettiti semplicemente a fare il meglio che sai fare.
Approdando a Teleducato, mi erano in effetti tornate le ambizioni da top manager dei miei 20 anni. Ma io ero e sono un giornalista ed è questo quello che ho deciso di fare negli ultimi 6 mesi del mio mandato (“Tu sei a tutti gli effetti in carica” disse Gaiti).
I risultati si sono visti. Teleducato, che già aveva fatto nascere il primo telegiornale locale trasmesso in diretta all’ora di pranzo a Piacenza, ha superato negli ascolti la storica Telelibertà.
Di quella redazione di absolute beginners, oggi 3 ragazze (avevo promesso a suo tempo a Gaiti che avrei fatto una redazione “Under 25 e di ragazze carine”: detto e fatto; ma dell’elenco fanno parte anche 2 ex ragazze, a ben pensarci) sono giornaliste professioniste. Il che è la mia soddisfazione più grande.

Quando mancano poche settimane al mio addio, finisce anche l’avventura di Lunini a Teleducato e subentra l’ottimo Villa, operatore e fac totum. Sarà lui a organizzare la mia cena di commiato. Una bellissima serata, al termine della quale torno a Parma con qualche lacrima che si fa spazio tra i miei atteggiamenti da capo.
“Allora non sei poi quel mito che credevamo noi” dice la Jessica.

L’esperienza a Piacenza mi ha profondamente cambiato come persona. Diciamo che mi ha fatto completare la transizione verso l’età adulta e raggiungere la maturità professionale. Dirigere una redazione nella città in cui sei nato e cresciuto è una cosa, ma farlo dove materialmente non sai dov’è la sede del Comune è qualcosa di diverso. Ma essere un professionista è proprio questo: avere i mezzi per ricreare la stessa modalità di lavoro anche se non puoi più parlare in dialetto con il Sindaco.