I Red Sox, la “n word” e gli infortuni

BASEBALL, SPORT

Gli altri (189; e vincono su un fuoricampo di Gardner, che in tutta la scorsa stagione ne ha fatti solo 7…) e i passeriformi (1810) cominciano ad avere un certo vantaggio sui Red Sox, che dopo la sconfitta (4-3) arrivata a Minneapolis contro i Twins su un fuoricampo walk off di Joe Mauer (il primo della carriera: ma non potevi aspettare?) sono a 15 vittorie e 14 sconfitte.
Sul fuoricampo di Mauer, arrivato su una palla veloce di Barnes da 96 miglia che però era all’altezza del petto, sentenzia il mio socio Gianluca Magnani: “Un antico adagio del baseball recita: palla alta … va lontano!“.
In questo articolo parliamo anche di n word (la parola che inizia per n) e infortuni.

La n word

Il mese di maggio è iniziato con una serie a Fenway contro Baltimora che la stampa ha definito “eventful”; in cui, insomma, sono successe un sacco di cose.
Si partiva da Manny Machado che aveva quasi azzoppato Pedroia e si è proseguito con gli itteri che tiravano addosso ai Red Sox e questi ultimi che rispondevano (mina dietro la schiena lanciata da Sale). Poi (mercoledì) è arrivata la telefonata del Commissioner ai 2 manager. Sostanza: “Adesso avete rotto”. Quindi è successo che un lanciatore dei passeriformi (Gausman) ha centrato Bogaerts in una chiappa con una curva da 77 miglia orarie e l’arbitro l’ha espulso.
Sembrerebbe essere stato l’atto finale della faida. Ma ne è iniziata un’altra. Qualcuno ha apostrofato Adam Jones come nigger. Si tratta del termine con cui venivano chiamati gli schiavi e che oggi negli Stati Uniti nessuno pronuncia (a parte i rapper, che si chiamano nigger l’un l’altro). Non a caso, le cronache dell’episodio utilizzavano l’eufemismo n word (ecco spiegato perché uso questa espressione nel titolo).
I Red Sox hanno chiesto scusa a Jones (al quale, se il messaggio non era stato chiaro, qualcuno ha anche  lanciato un sacchetto di noccioline) e chiesto ai tifosi di segnalare eventuali episodi di intolleranza razziale. Jones la sera successiva è stato salutato da applausi prima timidi (e mischiati a qualche inopportuno buuuu), poi più convinti e finiti in una standing ovation. Merito, oltre che del comunicato della società, di un tweet dell’esterno destro dei Red Sox Mookie Betts: “Sono nero anch’io”. Ha avuto oltre 10.000 retweet, incluso il mio.

Mookie Betts

Boston e il razzismo

I Red Sox sono particolarmente sensibili al problema perché il razzismo è qualcosa con cui la città convive da decenni. Non a caso, sono l’ultima squadra ad aver aperto agli atleti neri. E’ accaduto nel 1959 (ben 12 anni dopo l’esordio di Jackie Robinson nei Dodgers) con Eliah Green (nella foto di copertina, di Bettmann/Getty Images, viene accolto ai Red Sox), detto Pumpsie, un’interbase che dopo lo Spring Training venne rispedito nelle Minors e denunciò il comportamento razzista di alcuni coach nei suoi confronti. Green venne richiamato a luglio, esordì il giorno 21 e metterà assieme una carriera da 344 partite (tutte con Boston, a parte 17 presenze con i Mets di New York nel 1963) come riserva degli interni, pinch hitter e pinch runner.
Jackie Robinson aveva sostenuto un provino nel 1945 per i Red Sox, ma era stato scartato. Le cronache parlano “del miglior try out mai visto a Boston”. Non a caso, i Red Sox sono stati a lungo la squadra più odiata dalla comunità afro americana. Per inciso, gli statunitensi di origine africana che giocano in Major League (cifra all’Opening Day) sono appena 62.
Il razzismo di Boston (il Sindaco Marty Walsh ha recentemente ammesso: “Il razzismo è un problema che abbiamo”) ha ragioni storiche. La città è rimasta a larga maggioranza bianca molto più a lungo di altre metropoli come New York o Chicago. Dopo la seconda guerra mondiale, i sentimenti razzisti nei confronti dei neri sono esplosi e i rimedi tentati negli anni ’70 (tipo spostare studenti neri in quartieri bianchi) hanno fatto più danni che altro.
L’intolleranza razziale è talmente un problema che Bill Russell, ex grande dei Boston Celtics, ha definito la città “un mercato delle pulci del razzismo” e i suoi abitanti “falsi radical chic che in realtà sono razzisti”.
I Red Sox la loro parte provano a farla. Il 3 maggio un tifoso ha apostrofato con un epiteto razzista una cantante nera che stava eseguendo l’Inno nazionale. Un altro tifoso lo ha segnalato alla sicurezza e il tifoso razzista è stato cacciato. Garantisce il Presidente Sam Kennedy che non rimetterà piede a Fenway Park.

Bill Russell con gli anelli che rappresentano i titoli NBA vinti

I Red Sox e gli infortuni

Ho detto che la classifica non mi piace, ma devo anche aggiungere che le attenuanti ci sono. Iniziata la stagione senza un partente del valore di Price e 2 rilievi (che erano in lizza per il ruolo di set up dell’ottavo inning) come Carson Smith (reduce da un’operazione al gomito; se va bene, torna a giugno) e Thornburg (spalla, ma sta lanciando dal monte), i Red Sox hanno perso anche Wright (che verrà operato al ginocchio sinistro e ha finito la stagione).
Un altro bel problema è il ruolo di terza base. Sandoval, che ha saltato quasi tutta la scorsa stagione, si è infortunato (distorsione al ginocchio: per ora non c’è una prognosi). Il suo posto era stato preso da Marco Hernandez (che ha iniziato la stagione in Triplo A, ma era già stato il rimpiazzo di Bogaerts all’interbase e Pedroia in seconda), ma si è fatto male anche lui (sublussazione alla spalla). A sua volta non è disponibile Brock Holt, fermato dopo aver avuto le vertigini e che sta preparandosi in Doppio A. Per questo è stato richiamato dal Triplo A un altro interno: Deven Marrero, classe 1990.
Non è ovviamente da escludere che i Red Sox tornino sul mercato.

2 thoughts on “I Red Sox, la “n word” e gli infortuni

  1. Il problema del razzismo nei confronti dei neri è una ferita mai rimarginata nella storia degli Stati Uniti e una questione che ha una rilevanza ben diversa negli USA rispetto a qualsiasi altro posto al mondo, anche il Sudafrica dell’apartheid.
    Sui nativi americani ho scritto un articolo inserito nella serie sul mio viaggio in Texas di questo inverno, che penso possa interessarti
    http://www.riccardoschiroli.com/quello-degli-indiani-damerica-non-era-un-manifest-destiny

  2. A mio parere andrebbe meglio definito il concetto di “razzismo” in USA e in generale. Qui pare che si voglia intendere razzismo solo quello del bianco contro il nero. Mai si parla, ad esempio, del sistematico sterminio (ammirato da Hitler) dei Nativi Americani da parte di bianchi e anche neri. Essi ebbero riconosciuto lo status di cittadini statunitensi e il diritto di voto solo nel 1924 in forza dell’Indian Citizenship Act. Molti di loro sono tuttora costretti a vivere nelle riserve che sono molto peggio dei ghetti neri ma non fanno notizia. Obama è stato il primo presidente USA, Powell, nel 2001 il primo segretario di stato di colore (sotto la presidenza di George Bush). A quando un Indiano in quelle cariche? Quando saranno scomparsi tutti? Si cita il numero degli afroamericani (in realtà afro-statunitensi) in MLB ma non quello degli Indiani. Sono 3.
    Oltre il 60% di quelli che vengono chiamati “Latinos”, da non confondere con gli “Ispanici” sono di colore. A Boston non mi risulta che il dominicano Ortiz fosse poi tanto pallido.
    Il razzismo, cui è spesso annesso una componente religiosa, è una brutta bestia dalle mille sfaccettature: Malcolm X, islamico, era antisemita e propugnando la superiorità della razza nera, propagandò anche una “bella ripulita” dai nativi americani.
    I bianchi della cosiddetta Bible Belt odiano non solo i neri ma anche i “papisti” ovvero italiani, irlandesi, spagnoli e gli ebrei (che “papisti” non sono sicuramente).
    Il bianco ed ebreo, anche di religione, Sandy Koufax veniva regolarmente fischiato in tutti gli stadi del Sud degli USA.
    In Africa non si può certo dire che il razzismo non esista: guardiamo le guerre tribali tanto diffuse ovunque e soprattutto lo sterminio dei Tutsi da parte degli Hutu, quasi un milione di morti. In Europa, lasciando da parte l’orrore dell’Olocausto, pensiamo alla guerra dei Balcani, guerra ‘etnica’ e di religione’.
    Non seguo il calcio ma ricordo le enormi polemiche su Tavecchio e i mangiatori di banane; nulla lessi sui giornali italiani sulla dichiarazione di Blatter, con sorrisini di Platini, sull'”invasione dei limoncini”, quei pochissimi giocatori giapponesi schierati in squadre europee.

Comments are closed.