I Red Sox subiscono la nohit, ne perdono 2 e tornano sulla terra

BASEBALL

Ero pronto a scrivere (lo ammetto: senza vergogna) che fermare i Red Sox è possibile solo se il lanciatore avversario ottiene una nohit. Poi, a rovinare il mio piano, ci ha pensato il fuoricampo di Khris Davis contro Price all’ottavo della partita di domenica notte. In men che non si dica, i Red Sox avevano perso 2 partite in fila. Ma andiamo con ordine.

La cosa bella della nohit firmata da Sean Manaea (che, nonostante il cognome, non è nato alle Hawaii) è che il suo manager Bob Melvin (classe 1961; nella foto di copertina) era uno dei catcher dei Red Sox quando (22 aprile 1993, esattamente 25 anni prima) Boston aveva subito l’ultima nohit: da Chris Bosio al KingDome di Seattle. Lo stadio non esiste più, visto che ora (per la verità, dal 1999) i Mariners giocano a Safeco Field. Però allora ospitava anche football NFL (Seahawks) e basket NBA (Supersonics).
Bob Melvin quell’anno giocò 77 partite, quindi non era il titolare. In effetti, quel giorno il catcher dei Red Sox era Tony Pena, attuale coach degli Yankees. Nei Mariners giocavano i giovani Omar Vizquel e Ken Griffey e un altrettanto giovane, ma destinato a una carriera meno gloriosa, Bret Boone, attuale manager di quelli di New York. E Tino Martinez, che in pigiama sarebbe diventato una star.
Alla fine dell’anno Melvin lasciò Boston. Il 1994 (9 presenze negli Yankees, ancora!, e 11 nei White Sox) sarà il suo ultimo anno di Major League.
Per trovare una nohit contro Boston prima di quella di Bosio, bisogna andare al 1983, a Dave Righetti e agli Yankees (ma basta!).

Se il manager dei Red Sox Cora non ha chiamato dal bull pen Kimbrel all’ottavo con 2 out, 2 uomini in base e Davis in battuta, difficilmente lo vedremo lanciare all’ottavo. Anche se ci era stato promesso. Non so cos’altro dire, se non che mi sento di esprimere qualche dubbio sulla gestione dei lanciatori di Cora e del suo pitching coach LeVangie proprio perché fin qui tutti parlano bene della coppia. E a me essere in minoranza piace.
Parlando di bull pen, un anno dopo siamo ancora qui: non è chiaro chi sia il rilievo per l’ottavo inning. Nel senso che Carson Smith adesso è disponibile (Thornburg ancora no e chissà quando lo sarà), ma si esita sempre un po’ a farlo entrare. E Kelly piace, ma non è che il suo controllo sia sempre perfetto.
Rispetto a un anno fa, però, Price e Porcello stanno andando molto bene. Addirittura, con i recuperi di Eduardo Rodriguez, Pomeranz (sul quale, in verità, c’è bisogno di più di qualche conferma) e Wright (al momento in Triplo A) Boston ha fin abbondanza di lanciatori partenti.
Non a caso, Cora dichiara al Boston Globe: “Abbiamo uno staff di lanciatori che ha l’abilità per fermare una serie di sconfitte…io direi di non esagerare. Siamo sempre 4-2 in questa trasferta. Ora dobbiamo vincere la serie con Toronto”.

Appunto: i Red Sox viaggiano fino a Toronto. Martedì (Porcello contro Happ), mercoledì (E-Rod contro Sanchez) e giovedì (Sale contro Estrada) se la vedono con la squadra (i Blue Jays, appunto) che appare come la vera alternativa a Boston e New York in una American League Est sembra quest’anno orfana di squadre competitive a Tampa (ed era prevedibile) e Baltimora (già più sorprendente).
Anche a Toronto non ci sarà Bogaerts, che dovrebbe rientrare quando (venerdì 27 aprile) i Red Sox ospiteranno a Fenway i Tampa Bay Rays.

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