Riflessioni a ruota libera da una umida cabina stampa a Panama

BASEBALL, SCHIROPENSIERO, SPORT

Si vede che sto invecchiando. Il ritmo di 2 partite al giorno, mi toglie energie. L’ultima volta che ero stato a Panama, producevo Lo slogan dewl mondiale panamensecon regolarità il “Diario di un cronista itinerante” ma, da quando sono qui, mi sono solo ripromesso di scrivere qualcosa oltre ai pezzi sulle partite che faccio per i siti della FIBS e della IBAF. In più, oggi il PC ha dato segni di squilibrio, il che è qualcosa di vicino alla tragedia.
Scrivo dalla sala stampa dello stadio “Rico Cedeno” di Chitre. Nella sostanza, sono in una sauna, con una umidità non adatta alla vita umana. Che potrebbe anche essere il motivo per cui il mio amato Sony VAIO sta dando fuori di matto.

Rico Cedeno era un giocatore di baseball. Nel 1952, colpito alla testa, si rialzò e raggiunse la prima. Crollò al suolo morto.
Il baseball qui a Panama vive di miti. Non hanno mai avuto un vero campionato pro come gli altri paesi del Centro America. O meglio, ci sono stati diversi tentativi e sono andati tutti male. Ce ne sarà un altro tra poche settimane (spalleggiato dalla MLB, il che non è necessariamente una garanzia…). Però il baseball pro non è l’unico baseball di El Istmo. E’ una storia comune ai paesi di questa parte dell’America. I migliori, volano negli Stati Uniti, ma a baseball si gioca anche ad un livello diverso. Il campionato nazionale di qui non è la MLB, ma è circondato da grande passione e la provincia di Herrera (dove ci troviamo) è quella in cui si respira maggiormente questo amore per il batti e corri.

Santiago, dove risiede la nazionale italiana, non è certo un bel posto. Ma è un crocevia importante per i viaggi dei pullman che attraversano il paese. C’è in particolare il ristorante “Los Tucanes”, che è un self service nel quale si consuma un pasto completo per 5 dollari e che è uno dei miei posti preferiti. Dai pullman scende una umanità varia e assonnata, con la quale si scambiano abitualmente sguardi e qualche volta parole. Lì lo stadio è intitolato a Omar Torrijos, ex Presidente della Repubblica di Panama morto in un incidente aereo che…non è detto ci sia stato. Per intendersi, Manuel Noriega è stato il suo successore. Bel personaggio, questo Noriega: collaboratore (diciamo così…) della CIA; per deporlo gli Stati Uniti hanno mandato a Panama 20.000 soldati.
Al momento, il nostro è stato trasferito da un carcere della Florida, Stato nel quale la sua condanna per traffico di droga scadrà nel 2016, alla Francia. Lì ne deve scontare un’altra per traffico di droga, ma i Giudici francesi lo vogliono processare anche per riciclaggio di denaro.
Tra le attività collaterali, Noriega uccise il Vice Ministro della Salute del Governo Torrijos, che aveva la doppia cittadinanza (italiana e panamense) e potrebbe essere estradato in Italia. Chissà chi è, alla CIA, che gli fece il colloquio per essere assunto, al Noriega….

Chitre la definirei una ridente cittadina, molto ordinata. Se finissero l’asfaltatura della strada che si percorre per arrivarci,Il bar sulla spiaggia a Santa Catalina darebbero una mano. Il nostro SUV in affitto (siamo in 3 con valigie enormi, non è per fare quello che se la tira…) non fa che cigolare. La principale attrattiva è un centro commerciale nuovissimo. Ci sono i marchi di Mac Donald’s, di Subway e di Payless Shoe source in piena evidenza. Perchè gli americani, oltre ad averla invasa, a Panama gli hanno gestito il Canale per un secolo (con una cresta di un 300 milioni di dollari all’anno a loro favore. Dettagli…) e dollarizzato l’economia.

A venir da fuori, ci si aspetta che Panama sia violenta. A Panama City vi riempiono la testa di storie paurosissime di turisti minacciati con armi da fuoco e poi derubati. Ovunque, incontrate poliziotti in assetto da guerra. Poi scoprite che a Panama City, se non andate a cercare guai, non vi succede nulla. Che i poliziotti sono in assetto da guerra, ma gentili e sorridenti (anche se qualche abuso, viene segnalato spesso, per onore della verità).

Nel giorno libero, abbiamo guidato il nostro SUV a nolo fino a Playa Santa Catalina. Si guida su una strada assurda, ma si arriva in un posto veramente incontaminato. Tanto per dire, fuori da casa i locali hanno parcheggiato il cavallo, non il SUV. E di guidarne uno, lì mi sono un po’ vergognato.

Però, mentre mangiavo in riva il mare nel ristorante di Luca, un sardo che mi riprometto di scoprire come è capitato qui, e guardavo i bambini giocare tra le onde, allora sì che ho pensato che la vita è bella.