Perché Seminati tra Fazio e De Luigi non aiuta il baseball italiano

BASEBALL, SCHIROPENSIERO

Con un post su Facebook, ho fatto un po’ di casino. Partendo da un video realizzato in Inghilterra, che trasudava orgoglio e passione, mi sono (retoricamente) chiesto se sia meglio presentare il baseball così o con il comico Fabio De Luigi alla lavagna “che fa il coglione” (spero che De Luigi non si offenda, ma non avrei saputo come altro sintetizzare). Mi riferivo alla partecipazione di Leonardo Seminati al programma di Fabio Fazio su RAI UNO.

Lo screenshot del mio post su Facebook

Leonardo Seminati non la pensa come me. Via e mail (per la precisione, attraverso l’applicazione messanger di Facebook) mi ha scritto (ho fatto praticamente copia-incolla, aggiustamenti minimi): “Ho visto il tuo post sul Bar del Baseball e lo trovo fuori luogo, perché non essendo un programma televisivo sportivo, ma un talk show, il taglio è sarcastico e azzeccato; cara grazia che si parli di baseball! Io penso che abbia fatto solo bene al baseball! Cosa a cui io tengo particolarmente”.
Con Seminati eravamo d’accordo che mi avrebbe inviato un suo commento sulla partecipazione alla trasmissione. Quando gliel’ho sollecitato, gli ho fatto presente che a me disturba che il baseball sia sempre presentato come una cosa strana, difficile, buffa. Questa la risposta di Leonardo (anche in questo caso, ho fatto copia incolla): “Non avevo aspettative né particolari cose da dimostrare da Fazio, ho semplicemente raccontato un po’ la mia storia; devo constatare come ci sia stato un apprezzamento da parte di tantissime persone, addetti ai lavori e non, quindi mi pare che si possa essere soddisfatti per la risonanza che ha avuto dentro e fuori dallo schermo. Non è emerso che il baseball è strano buffo e difficile e la gag finale era in chiave goliardica per chiudere la puntata”.

Adesso vorrei essere chiaro: io non ce l’ho con la trasmissione di Fazio. Che non mi piace, ma questo è un mio problema. Fazio ama dare il tono “non prendiamoci troppo sul serio”. Se n’è accorto anche Kristian Ghedina, ex campione di sci, invitato in trasmissione sostanzialmente per dimostrare che è matto. Ma non è da dare per scontato che il suo tono sia apprezzato da tutti. Anni fa, durante Anima Mia con Claudio Baglioni, era ospite William Shatner, il celebre (per me, un idolo) Capitano Kirk della prima serie di Star Trek. Dopo aver ascoltato la traduzione di alcuni dei commenti dei 2 conduttori, Shatner si è rivolto a Baglioni e gli ha detto: “I call you bonzo” (ti chiamo bonzo,che non vuol dire nulla) e poi si è rivolto a Fazio: “And you gonzo”. Questo vuol dire qualcosa, perché per gli americani gonzo journalism è un modo di fare informazione impreciso, quello di chi si inventa dettagli che gli fan comodo per intrattenere.
Ma detto che io condivido il giudizio di Shatner (e anche questo, può essere poco rilevante), ammetto che un taglio del genere ce lo si poteva aspettare. A Seminati avevo detto (consiglio non richiesto, ma potrebbe essere mio figlio, ho provato a essergli utile…) di prepararsi a rispondere a domande sul baseball difficile e incomprensibile.
L’apparizione di Seminati è stata ottima. Quando si è parlato del suo contratto con i Reds, sono state per la verità dette cose imprecise (il gonzo journalism di Fazio), tipo che aveva un contratto di 7 anni (chi segue il baseball pro americano sa bene che non c’è nulla di garantito, se non il bonus di firma, che per Leo è di 135.000 dollari, stando al sito MLB.com; Seminati mi prega per altro di puntualizzare che il suo è un contratto di 7 anni, ci tornerò su), Seminati ha dimostrato una eccellente presenza e il fatto che Fabio De Luigi (ex giocatore IBL) abbia sottolineato quanto invidia Seminati (“sei l’unica persona con cui farei cambio”), suonava bene. Inoltre, vista nell’ottica della trasmissione, anche la gag finale di De Luigi ci può stare. Anche vista nell’ottica del personaggio che De Luigi si è cucito addosso: quella di un tipo un po’ stralunato, che per forza deve praticare uno sport curioso per la maggior parte degli italiani.

Ma tutto questo non ci sta nell’ottica del baseball italiano. Che secondo me deve ribellarsi al luogo comune di gioco difficile.
Mi rendo conto che può sembrare una battaglia persa, ma io intendo combatterla comunque. Come fa a essere difficile, se i bambini americani lo capiscono benissimo (e non ditemi cose tipo “è nel loro DNA”; primo, perché semmai sarebbe nel “loro imprinting” e secondo, perché anche i nostri bambini lo capiscono benissimo, visto che fanno la coda a qualsiasi tunnel di battuta in qualsiasi località)? E poi, se noi del baseball continuiamo con questo atteggiamento tanto snobistico quanto miope (“certo che è difficile, ma io sono intelligentissimo e lo capisco”), crescere il numero di praticanti sarà sempre un’impresa titanica.

Un’altra cosa dalla quale il baseball italiano deve assolutamente liberarsi è un certo provincialismo. “Vado da Fazio, che è famoso, quindi divento famoso anch’io”. Non funziona così.
E’ il baseball che dobbiamo vendere, non Fazio che parla di baseball. Sarebbe diverso se, prima di un grande evento, si facesse una comparsata da Fazio. Quello indubbiamente attirerebbe curiosità. Fermo restando che poi l’evento deve valere la pena, indipendentemente dal fatto che ne parli Fazio o chiunque altro. Voglio dire: io mi fido ciecamente di Fazio, mi dice di andare a vedere le partite del Mondiale di baseball. Arrivo e trovo uno stadio fatiscente, posti scomodi, un servizio bar carente. Iniziano a giocare e l’Italia va sotto di 10 punti al primo inning. Anche se mi aveva detto Fazio di andarci, non è che ci torno.

Fu Bruno Beneck a iniziare a promuovere il baseball abbinandolo ai VIP. Ma vi posso garantire che io, che non perdevo non solo una partita, ma nemmeno un allenamento della grande Germal di Parma, non sono mai andato alla partita perché Castelli era quello che avevano visto con Anna Maria Rizzoli (eroina di alcuni film che la mia generazione giudicava pruriginosi e che oggi potrebbero tranquillamente proiettare alle allieve delle Orsoline per far loro fare 2 risate…). Ci andavo perché, prima di tutto, mi piaceva (e qui si apre un altro grande fronte, sul quale tornerò) e poi perché allora (1976, 1977; io facevo le medie) era nuovo, colorato, moderno. Beneck era molto avanti rispetto ai suoi tempi. Aveva capito che c’era uno spazio da riempire (quello notturno: il calcio giocava di sera solo le amichevoli e le gare internazionali). Ma Beneck era anche un uomo nato nel 1915, quindi allora era più che sessantenne. E allora era un’altra epoca. Non possiamo seriamente pensare di ripartire da lì. Voltiamo finalmente pagina. Ripartendo dal fatto che Beneck almeno non soffriva di complessi di inferiorità (vedi la frase di Seminati: “cara grazia che si parli di baseball“; non rassegnamoci così, ribaltiamo il concetto, proviamo a capire perché non si parla di baseball e proviamo a intervenire di conseguenza. E il punto esclamativo questa volta ce lo metto io!)

Leonardo Seminati con la maglia dei Cincinnati Reds

Sul programma di Fabio Fazio, si è espresso in termine entusiastici Mario Salvini sul suo blog.
Mario è un collega e io lo considero un amico. Quindi mi sento autorizzato a parlare liberamente: per me, quell’articolo è un po’ una paraculata. Si tratta di un articolo (spero di spiegarmi) pacificatore. Del tipo: “dopotutto, le cose non vanno male”. Invece le cose vanno male (o, se preferite, non vanno bene) e bisogna prenderne atto e bisogna dirlo. Se no le cose non cambiano. E continuano a non andare bene.
Con Salvini ho avuto a fine 2011 una discussione. Alex Liddi aveva appena debuttato in Major League e lo avevamo (noi, Ufficio Comunicazione FIBS) invitato al Gala dei Diamanti. Fu un successo (anche troppo; arrivò il triplo delle persone previste, come avevo raccontato su questo sito). A margine, organizzammo un incontro con i giornalisti. Alla fine, Salvini mi disse “trovo che sia stata un’occasione persa”.
Non ho mai ben capito cosa ci si aspettasse, dalla presenza di Liddi. Ma qualunque fosse l’aspettativa, mi preme calcare la mano su questo: noi dobbiamo promuovere il baseball italiano. E Liddi (come Maestri o Colabello o Jason Grilli) il baseball italiano non ce l’ha. Almeno, non tutte le settimane. E quando ho ben creato chissà quale aspettativa al riguardo di Liddi e poi per vederlo devo andare nella Liga Mexicana del Pacifico, il baseball italiano cos’ha risolto?

Il punto è questo: il baseball italiano non ha appeal. E dico subito che io una soluzione da proporvi qui su due piedi per darglielo, non ce l’ho. Ma ho una convinzione precisa: prima di cercare di promuovere, bisognerebbe capire cosa promuovere. Prima di pensare di creare personaggi (che poi li invitano al Festival di Sanremo, come il rugbysta Castrogiovanni), sarebbe bene creare il contesto in cui questi personaggi, diventando tali, possano dare beneficio al baseball italiano. Bisogna insomma porsi domande come questa: oggi, secondo decennio del secolo ventunesimo, vale la pena, andare allo stadio da baseball in Italia? Se no, è possibile far qualcosa (comfort dello stadio, livello del gioco) per migliorare la situazione?
Bisogna poi porsi domande come questa: al di là dell’abilità che c’è in certo zone d’Italia (ad esempio Parma) nel reclutare, una volta reclutati e quando vengono al campo, i bambini si divertono? Se no, cosa possiamo fare per farli divertire ed evitare che abbandonino?

Io trovo il baseball bello. Io, Woody Allen, Leonardo Seminati (per dire, 3 personaggi piuttosto diversi tra loro…) non ci siamo mai posti il dubbio che il baseball sia difficile, o strano o atipico per chi cresce pensando che lo sport significhi 2 porte (con la rete o meno) e una palla (rotonda oppure ovale) e non preveda l’uso di guanti e mazze. Lo abbiamo amato a prima vista. Perché non riusciamo a fare più proseliti? Poniamoci anche questa, tra le varie domande. E iniziamo a lavorare alle risposte, lasciando perdere quali VIP ci possono aiutare a sentirci importanti.

P.S. Lo so che in questo articolo non do troppe risposte, ma sono ancora in embargo sul baseball italiano. E l’embargo scade con il 31 dicembre.

P.P.S. Di Leonardo Seminati e della sua avventura da pro parlerò di più e meglio in un prossimo articolo

Per questo articolo ho disabilitato i commenti. Ma chi vuole parlare dell’argomento (o degli argomenti) con me, può scrivere a info@riccardoschiroli.com

Dopo la pubblicazione, l’articolo ha subito qualche piccola correzione. Nulla che alteri il senso di quello che ho scritto