Perché l’Addetto Stampa deve essere un giornalista

L'Ufficio Stampa, MULTI MEDIA

In questo articolo cercherò di chiarire perché l’Addetto Stampa deve essere un giornalista. In copertina vedete il sottoscritto (foto di Corrado Benedetti per OldmanAgency) durante il Gala dei Diamanti FIBS 2013.
Premetto che, se parliamo di Amministrazione Pubblica, non c’è bisogno di tanti approfondimenti: lo dice infatti la legge, precisamente la 150 del 2000, che ho citato nel primo capitolo di questa sezione.
Il Parlamento ha infatti stabilito che le Amministrazioni Pubbliche devono “individuare” il personale e anche “formarlo” (articolo 4) per questo tipo di incarichi. Saggiamente, la legge introduce anche una distinzione tra l’Ufficio Relazioni Esterne (che svolge attività di comunicazione nell’ambito dei “servizi rivolti al cittadino”, vedi articolo 8) e l’Ufficio Stampa (che si rivolge agli “organi d’informazione di massa”, vedi articolo 9, comma 1). Ha inoltre stabilito che il personale dell’Ufficio Stampa è “iscritto all’albo nazionale dei giornalisti” (articolo 9, comma 2) e che il coordinatore di questo gruppo di lavoro “assume la qualifica di Capo Ufficio Stampa” (comma 3).
Veramente notevole mi sembra un ulteriore punto (sempre al comma 3): quello in cui si dice che il Capo Ufficio Stampa assicura “il massimo grado di trasparenza, chiarezza e tempestività delle comunicazioni da fornire nelle materie di interesse dell’amministrazione”. Ci torneremo.

Foto d’epoca: sono nella cabina di Teleducato allo stadio “Tardini” di Parma nel 1996

Legge a parte, perché l’Addetto Stampa deve essere un giornalista?

Prima di tutto, l’Addetto Stampa deve essere un giornalista perché gli sono richieste caratteristiche che normalmente un giornalista ha (o dovrebbe avere): la capacità di comunicare in un Italiano corretto (e parliamo sia di lingua scritta che parlata), una certa curiosità che lo porta a informarsi, la conoscenza dei ritmi di lavoro di una redazione, la consapevolezza che le scadenze vanno rispettate a tutti i costi, una certa formazione sulla deontologia della professione.
Detto questo, è bene chiarire che per il management avere a che fare con un giornalista non è detto che sia semplice. Fin dallo Statuto Albertino (1848) la stampa è definita “libera”, concetto che la nostra Costituzione (articolo 21) ha ripreso senza mezzi termini. La professione giornalistica è regolamentata, come tutte le professioni intellettuali (articolo 2229 del Capo 2 del Libro 5 del Codice Civile), da un Ordine Professionale. Quello dei giornalisti (che è in attesa di una riforma che non arriva) è stato varato nel febbraio del 1963. Essere iscritti all’Ordine significa naturalmente sottoporsi a tutta un’altra serie di norme, oltre a quelle previste dalla Repubblica Italiana per tutti i cittadini. Aggiungo che i giornalisti iscritti all’Ordine sono divisi in 2 grandi categorie: i pubblicisti (ovvero persone che svolgono l’attività giornalistica in via non esclusiva) e i professionisti (che invece svolgono come unica attività lavorativa quella giornalistica). Ho sentito (quando ero pubblicista) un professionista dire che tra un pubblicista e un professionista c’è la stessa differenza che c’è tra un medico e un infermiere. Non è in effetti così, visto che ancora non esiste una laurea specifica per l’accesso alla professione di giornalista. Ma è certo che un professionista lo si presume più preparato almeno sulla parte normativa e della deontologia, visto che deve superare un apposito Esame di Stato. Oggi, con l’obbligo della formazione continua, in verità non può accampare scuse su eventuali carenze della sua conoscenza delle norme nemmeno il pubblicista.
Converrete ora di certo con me che dare direttive a una persona che la Costituzione definisce “libera” e che risponde a norme alle quali non è necessariamente asservito il suo datore di lavoro può essere complicato.
Vieri Poggiali, nel suo fondamentale libro sugli Uffici Stampa (a proposito, è in vendita una terza edizione che ha anche un aggiornamento sull’impatto dei nuovi media), dice non a caso che un Addetto Stampa deve sostanzialmente occuparsi di “educare” il suo management. Diciamo che questo sarebbe vero in un mondo perfetto. Ma alla luce del fatto che non viviamo in un mondo perfetto, è bene che il management e l’Addetto Stampa, prima di stringersi la mano, si accertino di vederla allo stesso modo su alcuni principi fondamentali.

La scrittura

Sono secoli che si cerca di mettersi d’accordo su cosa significa “scrivere bene”. Non ci siamo ancora riusciti, ma c’è un autore che dà moltissimi indizi su come scrivere almeno in maniera efficace. Si tratta di Massimo Birattari e sto parlando di È più facile scrivere bene che scrivere male, una lettura tanto divertente quanto utile. Naturalmente, Birattari si trova a dare per scontato che chi si preoccupa di scrivere “bene” abbia già gli strumenti per un uso appropriato di grammatica e sintassi. Va bene che siamo nell’era dei social media, ma nessuna esigenza di essere “attuali” o di “comunicare velocement”e giustifica la mortificazione della nostra lingua attraverso un abuso di inglesismi, abbreviazioni fuori luogo, sostituzioni di ch con k. E nemmeno siamo autorizzati a fare confusione tra l’uso del congiuntivo e quello dell’imperfetto, anche se così si esprime un Deputato come Alessandro Di Battista.
Un modo di esprimersi efficace è quello che azzecca il linguaggio giusto per arrivare a chi ci si propone diraggiungere. Un Addetto Stampa dovrebbe lasciare da parte le velleità letterarie e scrivere in modo agile, attuale (ci torneremo su parlando del linguaggio) e diretto. Un testo contenente errori di grammatica, di sintassi o di consecutio è terribile, ma un testo in burocratese (“con la presente si trasmette convocazione per la conferenza stampa”) non è molto meglio.  Le abbreviazioni rendono la lettura faticosa (non moriremo, se scriveremo per esteso Professore anziché Prof.), gli acronimi possono farla diventare difficile. Non è il caso di dare mai per scontato nulla. Ad esempio, se in un articolo di Economia il PIL lo nomineremo la prima volta che lo citiamo Prodotto Interno Lordo (con l’acronimo PIL tra parentesi) faremo un favore al lettore.
In un testo ben fatto è importante la coerenza. Ad esempio, decidete a priori se i numeri vanno scritti in cifre o lettere (1 o due) ma attenetevi a quel che avete deciso per tutto il testo. Il vantaggio dello scrivere in cifre è che non ci saranno equivoci con il cambio di genere (una casa apparirà certo più appropriato di 1 casa), ma vi creerà qualche fastidio con le date (oggi è il trentuno di marzo è certo meno immediato di 31 marzo). Gli aggettivi cardinali io preferisco scriverli per esteso (primo, secondo e terza), anche perché in cifre non è detto che sulla tastiera siano così facilmente rintracciabili i simboli necessari (, 3^…).
Anche quella del giornalista è scrittura creativa. E alla base della scrittura creativa c’è comunque prima e prima di tutto un’esigenza: farsi capire e non annoiare. Scrittori molto celebri (Raymond Carver, Charles Bukowsky, Stephen King, Dan Simmons…) hanno prodotto moltissimo sulla scrittura creativa. Hanno idee molto diverse, ma sull’esigenza di farsi capire e non annoiare concordano tutti.

Notoriamente, scrivere è la mia grande passione (K 73)

La scrittura per il web

Uno degli imperativi di oggi è ottimizzare i nostri testi per i motori di ricerca (sostanzialmente: per Google) in base alle tecniche conosciute come SEO (Search Engine Optimization).
È assolutamente vero che per farci trovare da un algoritmo qualche trucco è necessario, ma mi sento di garantirvi che un buon testo resta un buon testo, che le tecniche SEO non differiscono poi di tanto dai concetti base del giornalismo (che il lettore debba capire dal primo paragrafo di cosa si sta parlando, resta ovvio) e che buona parte del successo SEO è comunque dovuto alla visibilità che il sito per il quale scrivete ha, indipendentemente dal vostro articolo e dalla vostra ricerca di parole chiave. Oltretutto, oggi è abbastanza difficile ingannare gli algoritmi Google piazzando qua e là parole chiave ricavate facendo ricerche sul motore e che c’entrano poco con il tema del vostro articolo. E anche se ci doveste riuscire, non è che la gloria sarebbe eterna. Se un testo non è valido, gli utenti smettono di cercarlo e Google si adegua.
Un altro imperativo di oggi sembra essere dividere un articolo scritto per il web in paragrafi, che iniziano con un sottotitolo. Aiuta di certo il lettore, ma naturalmente un paragrafo deve avere un argomento centrale. Non serve a nulla suddividere in paragrafi perché a livello estetico la pagina sembra più bella. Oltretutto, il crawler di Google la bellezza estetica della pagina non la può nemmeno apprezzare…
Allo stesso modo va trattata la possibilità di formattare il testo. I grassetti aiutano a farci capire meglio, ma non ci devono condizionare. I corsivi personalmente li limiterei alle parole che derivano da un’altra lingua (anche da un dialetto) o che sono utilizzate per esprimere un concetto che va oltre il significato letterale del termine. Nel baseball, a Nettuno (provincia di Roma) una battuta particolarmente alta è definita tortorata. Nel calcio un gran tiro sfonda la rete.
Quando si prepara un titolo, questo sì, è bene tenere conto del fatto che a trovarci dovrà essere una macchina. Nonostante l’evoluzione degli algoritmi di disambiguazione (che sono particolarmente efficaci per la lingua Inglese), sarà sempre meglio evitare di definire nel titolo la nazionale di calcio come “gli azzurri”.

Pubblicazioni e scadenze

È molto frequente che a un Ufficio Stampa si chieda di curare pubblicazioni di cui il suo datore di lavoro è editore. Parlo ovviamente del sito internet (argomento che riprenderò e approfondirò occupandomi specificamente di produzione di contenuti; non c’è nessuno obbligo, ma è bene che il sito sia testata giornalistica), ma non è da escludere che all’Addetto Stampa venga chiesto di firmare pubblicazioni cartacee (se il sito è testata giornalistica, pubblicandole come suoi supplementi si ottengono anche risparmi sull’IVA). In ogni caso, è bene che a editare queste pubblicazioni sia un giornalista, perché il giornalista risponde prima di tutto al pubblico.
Non scandalizzatevi: lo so bene che quelle che escono da un Ufficio Stampa sono notizie timbrate (per dirla nuovamente con Vieri Poggiali), quindi divulgate nell’interesse dell’entità che l’Ufficio rappresenta. Ma quando si fa informazione, non bisogna mai dimenticare il dovere che si ha nei confronti del pubblico. Sarebbe imperdonabile se gli organi di comunicazione di massa divulgassero informazioni mendaci a causa nostra. Il dolus bonus (il famoso detersivo che “lava bianco, che più bianco non si può”) è accettabile nella comunicazione pubblicitaria, ma va usato con molta prudenza e parsimonia quando si prepara un comunicato stampa o si aggiorna un sito ufficiale.
Per il resto, non va dimenticato che una pubblicazione aziendale (sia un sito aggiornato su base quotidiana, sia quel che si usa per presentare un evento, sia una pubblicazione celebrativa) è una pubblicazione a tutti gli effetti. Di conseguenza, prima di mettersi a prepararla è bene concordare (e condividere) con l’editore una linea editoriale. Ad esempio, la linea editoriale che avevo scelto per il sito della FIBS risulta esplicita in questo articolo che avevo scritto nell’autunno del 2014.
Essendo quasi sempre inserito in una struttura aziendale che non è solo editoriale, l’Addetto Stampa si troverà a dialogare con colleghi che non hanno necessariamente presente la sacralità di una scadenza.
Mi vedo ancora nei corridori della FIBS mentre dico: “Se voi aveste lavorato a un telegiornale, un giorno sì e l’altro no non sareste andati in onda…”.
Non è per tirarsela, ma è proprio così. Per un giornalista, se la scadenza (deadline) è fissata per una determinata ora di un certo giorno, il suo lavoro finisce alla determinata ora di un certo giorno. Non quando è soddisfatto del lavoro che ha fatto.

Un Addetto Stampa dev’essere pronto a rispondere alle domande (K 73)

I rapporti con le redazioni

Questa sembra facile. Le redazioni hanno bisogno di notizie e l’Addetto Stampa è lì per dargliele. Nella realtà, le cose sono ben più complesse.
Prima di tutto, non tutti i giornalisti sono uguali. Nel senso: il vostro management avrà sicuramente, se non il suo giornalista, la sua testata preferita. E poi c’è il fatto (scusate la contraddizione…) che, in un certo senso, tutti i giornalisti sono uguali: vogliono avere le notizie per primi.
Il nostro Addetto Stampa si troverà quindi nella seguente situazione: cercare di fare l’interesse del pubblico divulgando informazioni puntuali e corrette, cercare di fare l’interesse di chi lo paga fornendo agli organi di informazione notizie che tengano conto del punto di vista del management, trattare tutti i giornalisti allo stesso modo perché è giusto così e privilegiare i preferiti del suo datore di lavoro perché altrimenti quest’ultimo si lamenterà. La colonna sonora a questo punto ce l’avete: l’ha scritta l’argentino Lalo Schifrin.
Torno più serio, ma lasciatevi dire che dovrete prepararvi a entrare in quella zona borderline in cui dovrete rassegnarvi a imbeccare una redazione senza che le altre se ne accorgano. Questa è la parte più difficile del lavoro di un Addetto Stampa, anche perché nella migliore della ipotesi nessuno vi dirà grazie e nella peggiore finirete in una tempesta.
All’orale del mio Esame da giornalista professionista ho discusso una Tesi sull’arresto di Ferdinando Carretta. Avevo seguito il caso per Teleducato e raccontai alla Commissione che avevo verificato ben 2 situazioni in cui c’era stata condivisione di informazioni (almeno in teoria) riservate da parte degli inquirenti: l’indirizzo londinese di Carretta (reso noto alla Gazzetta di Parma dalla Polizia Giudiziaria) e la caserma dei Carabinieri dove si svolgeva l’interrogatorio di Ferdinando dopo l’arresto (resa nota al sottoscritto da un Ufficiale dell’Arma). Il giornalista della Commissione mi liquidò con un “collega, non mi sembra che tu scopra niente di nuovo”, ma il Magistrato andò letteralmente giù di testa e ne scaturì una discussione a tinte forti che non potei che osservare. Per la cronaca, mi hanno comunque promosso.
Procura e Carabinieri non avevano Addetti Stampa, ma anche se li avessero avuti, gestire questo tipo di situazioni sarebbe stato un problema. Non ho consigli, ma devo solo avvertirvi: sono situazioni che si verificano più spesso di quel che potete pensare. Accadono per volere del vostro management, ma potreste persino constatare che ci sono casi in cui spingersi al limite farebbe comodo a voi. Nella sostanza: queste situazioni dovete essere preparati a gestirle.
Che sia un giornalista a gestire i rapporti con le redazioni è anche molto utile perché conosce i tempi di lavoro, sa cosa serve ai suoi colleghi e parla il loro stesso linguaggio. Non avete idea di come può diventare snob un giornalista, se si accorge che il suo interlocutore non sa cosa sono “le gerenze”, un “occhiello”, o “la corta”…

La deontologia

In conclusione, torniamo al concetto che un giornalista è libero di fare quel che crede, a patto che dica la verità. È così assodato che, nel caso un giornalista si sbagli, la legge gli impone di rettificare.
È tutto scritto nella Legge sulla Stampa (1948) e nella Legge che istituisce l’Ordine dei Giornalisti (lo abbiamo già visto: 1963). Ma una sentenza (5259) del 1984 della Corte di Cassazione (non per niente chiamata in gergo Sentenza Decalogo) ribadisce con forza i capisaldi della professione giornalistica.
Dopo la sentenza, negli anni ’90 del secolo scorso sono arrivate tutte le Carte deontologiche che indicano come svolgere la professione tutelando i soggetti deboli.
I giornalisti che mi leggono sanno benissimo che questi concetti sono contenuti nei corsi sulla deontologia che tutti noi dobbiamo frequentare nell’ambito dei programmi di formazione continua. Inoltre, con un altro articolo dell’autunno 2014 (periodo evidentemente propizio), ho già approfondito il tema su questo sito.
Per concludere, qui mi serve solo aggiungere che l’Addetto Stampa deve essere un giornalista perché questi concetti li maneggia (o dovrebbe maneggiarli). E una pubblicazione aziendale è bene che sia testata giornalistica perché una testata giornalistica deve essere firmata da un iscritto all’Ordine dei giornalisti. Quindi un soggetto che alle norme sulla deontologia si deve assolutamente adeguare. E questo rappresenta una formidabile forma di tutela per il pubblico.

3-CONTINUA